Tasso alcolemico inferiore a 1,5: no a sospensione cautelare della patente
Se il tasso alcolemico accertato è inferiore a 1,5 g/l, non può essere
applicata la sospensione "cautelare" della patente di guida. E' quanto
emerge dalla sentenza 31 dicembre 2013 del Giudice di Pace di Torino.
Il Giudice di Pace conferma l'orientamento espresso dalla Suprema Corte, con la sentenza n. 21447/2010, ai sensi
della quale il nostro codice della Strada contempla diverse ipotesi di
sospensione della patente per il caso di guida in stato di ebbrezza
previste, rispettivamente, dagli artt. 186 e 223.
La prima di
tali disposizioni prevede una sospensione "penale" ed una
"amministrativa", la quale acquista efficacia a seguito della sentenza
penale di condanna. L'art. 223 contempla una ipotesi di sospensione
della patente avente natura "cautelare", da applicarsi nel caso in cui
il giudice penale ravvisi il timore di reiterazione del comportamento
riprovevole.
La pronuncia ora richiamata evidenzia che il comma
9 dell'art. 186 cod. strad. è l'unico che consente al Prefetto la
sospensione della patente di guida in via cautelare, ma sempre
subordinandola all'accertamento che, ai sensi dei comma 4 e 5, rilevi un
tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l.
Nella specie, la misura
cautelare era stata applicata per una ipotesi differente rispetto a
quella indicata nel comma 9 dell'art. 186, emergendo un difetto di
correlazione tra il comportamento tenuto e il fatto sanzionato, non
sussistendo i presupposti per l'applicazione della misura cautelare.
(Altalex, 28 gennaio 2014. Nota di Simone Marani)
martedì 25 febbraio 2014
martedì 4 febbraio 2014
Guida in stato di ebbrezza: il lavoro di pubblica utilità estingue il reato
Cassazione penale , sez. I, sentenza 17.12.2013 n° 50909 (Luigi Del Giudice)
In particolare la cassazione con sentenza 17 dicembre 2013, n.
50909 ritiene che la prestazione non retribuita è comunque svolta a
favore della collettività, ed anche se non inerente al settore della
sicurezza e dell'educazione stradale, la stessa deve ritenersi
rientrante nel novero dei lavori di pubblica utilità e tale da poter
fare conseguire gli effetti estintivi del reato.Sarebbe irragionevole ritenere che il lavoro di pubblica utilità comunque svolto con diligenza, non possa fare godere all'interessato i vantaggi ricollegati al positivo svolgimento di tale incombente, sol perché fatto svolgere al di fuori del campo indicato in via prioritario nella previsione normativa.
Tale modus opinandi si profila assolutamente vincolante, se solo si consideri la portata e la finalità del lavoro sostitutivo, così come la Corte Costituzionale ha avuto cura di tratteggiarlo, come misura "paradentiva", costituente un segno ed un'apertura fiduciaria verso i condannati (sent. 157/2010), esaltandone le finalità rieducative per il recupero sociale del soggetto, perseguito attraverso la scelta di lavoro a titolo gratuito dell'interessato a favore della collettività offesa, quale evidente segno di riconciliazione sociale.
È stato scritto nella recente sentenza n. 179/2013 sempre della Corte Costituzionale, a proposito del lavoro di pubblica utilità, che "la finalità rieducativa della pena, stabilita dall'art. 27, co. 3, Cost, deve riflettersi in modo adeguato su tutta la legislazione penitenziaria. Quest'ultima deve prevedere modalità e percorsi idonei a realizzare l'emenda e la risocializzazione del condannato, secondo scelte del legislatore, le quali, pur nella loro varietà tipologica e nella loro modificabilità nel tempo, devono convergere nella valorizzazione di tutti gli sforzi compiuti dal singolo condannato e dalle istituzioni per conseguire il fine costituzionalmente sancito della rieducazione (sentenza n. 79/2007). Tali principi, benché riferiti alla legislazione penitenziaria, ben si adattano anche a fattispecie come quelle in esame, nelle quali le finalità rieducative della pena e il recupero sociale del soggetto sono particolarmente accentuati e sono perseguiti mediante la volontaria prestazione di attività non retribuita a favore della collettività".
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