Nel 2008 il Tribunale di Trieste condannava una donna per i reati previsti e puniti dall’art. 189 C.d.S., rispettivamente al comma 6, per non aver fornito i propri dati prima di essere ripartita a seguito di un sinistro dalla stessa cagionato, nel quale aveva altresì provocato lesioni personali ad una ragazza, nonché di quello al comma 7, per non aver dato assistenza alla persona ferita.
La Corte di Appello, parzialmente riformando la decisione di primo grado, riqualificava il reato di cui al comma 6 in quello di cui al comma 4 dell’art. 189 C.d.S. La decisione, approdata in Cassazione, viene confermata, ritenendo corretta la motivazione oggetto di censura. La Corte argomenta che per l’affermazione della penale responsabilità risulta necessario che ogni elemento del fatto tipico, come l’evento dell’incidente, il danno alle persone, nonché la sussistenza di persone ferite, sia “conosciuto e voluto” dal soggetto agente.
Rispetto alla verificazione delle lesioni fisiche, legate al sinistro in modo causale, occorre che l’agente si rappresenti la probabilità, ovvero anche la semplice possibilità, che dal sinistro si sia prodotto un danno alle persone e che queste abbiano necessità di assistenza e, assumendone il rischio, trascuri di fermarsi.
Correttamente, a dir della Cassazione, il giudice di secondo grado aveva ritenuto sussistere, in capo all’imputata, l’elemento soggettivo del dolo eventuale deducendolo dalla singolare condotta: la persona offesa, a seguito della caduta dal ciclomotore, cagionata dalla mancata precedenza datale dall’imputata, rivolgendosi all’imputata stessa aveva dichiarato di accusare dolore ad una spalla. La donna aveva replicato minimizzando le lesioni rappresentate dalla ragazza, affermando che se stava in piedi la cosa non poteva esser grave. Quindi era ripartita, senza dare ausilio né attendere i soccorsi, e senza fornire i propri dati.
L’elemento soggettivo del dolo eventuale sussiste anche quando si minimizza sulle condizioni fisiche del soggetto coinvolto nel sinistro e si riparte dal luogo dell’incidente senza prestare assistenza.
(Altalex, 9 settembre 2011. Nota di Laura Biarella)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 13 maggio - 27 giugno 2011, n. 25668
(Presidente Marzano - Relatore Massafra)
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 1.10.2008 il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, affermava la penale responsabilità di
L.C. in ordine al reato (capo a) di cui all'art. 189 comma 6 C.d.S. (per non aver fornito le generalità prima di ripartire dopo aver cagionato un sinistro stradale che arrecava lesioni a D.G.M.) e di quello (capo b) di cui all'art. 189 comma 7 C.d.S. per non aver prestato assistenza alla suddetta p.l. ((omissis)), condannando la L. alla pena di giustizia. La Corte di Appello di Trieste, con sentenza in data 4.10.2010, in parziale riforma di quella predetta, assolveva la L. dal reato sub a) riqualificato in quello di cui all'art. 189 comma 4 d.lvo 285/92, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, riducendo la pena principale e la sanzione accessoria e confermando nel resto. Avverso tale sentenza della Corte triestina ricorre per cassazione. Il difensore di fiducia di L.C., deducendo:
1. la violazione di legge ed il vizio motivazionale, in ordine alla mancata valutazione della deposizione della teste P., presente sul posto;
2. il difetto o manifesta illogicità della motivazione in ordine all'elemento psicologico del reato (ritenuto come dolo eventuale, laddove poi si fa riferimento alla negligenza, sintomatica della colpa; era inoltre del tutto contraddittorio cercare di fondare la decisione sull'asserita circostanza che l'imputata non avrebbe fornito i propri dati personali alla parte lesa).
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e va respinto.
La prima censura non risulta essere stata formulata in grado di appello onde ne scaturisce la sua inammissibilità ai sensi dell'art. 603, 3 comma c.p.p., se riguardata sotto il profilo della violazione di legge, nonché per la limitazione della cognizione del giudice di appello al devolutum, per quel che concerne la prospettazione del vizio motivazionale: del resto, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Quanto al secondo motivo di ricorso, si deve riconoscere la piena congruità e correttezza della motivazione addotta dalla Corte territoriale sul punto. Infatti, il reato di cui al combinato disposto dell'art. 189 commi 1 e 7 c. strad., che punisce la violazione dell'obbligo di fermarsi e di "prestare assistenza alle persone ferite" da parte dell'utente della strada, in caso di incidente con danno alle persone comunque ricollegabile al suo comportamento, è punibile a titolo di dolo. Per la punibilità è cioè necessario che ogni componente del fatto tipico (segnatamente, oltre l'evento dell'incidente, il danno alle persone e l'esservi persone ferite, necessitanti di assistenza) sia conosciuto e voluto dall'agente. A tal fine è però sufficiente anche il dolo eventuale che si configura normalmente in relazione all'elemento volitivo, ma che può attenere anche all'elemento intellettivo, quando l'agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l'esistenza: ciò significa che rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all'incidente, è sufficiente (ma pur sempre necessario) che, per le modalità di verificazione di questo e per le complessive circostanze della vicenda, per l'agente si rappresenti la probabilità - o anche la semplice possibilità - che dall'incidente sia derivato un "danno alle persone" e che queste "necessitino di assistenza" e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta di fermarsi (cfr. Cass. pen. Sez. IV n. 34134, 13.7.2007, Rv. 237239). E correttamente è stata ritenuta la sussistenza del dolo eventuale traendone elementi dal peculiare comportamento tenuto nell'occasione dalla L. che, secondo l'attendibile versione della persona offesa che dopo essersi alzata dopo esser caduta dal motorino a seguito del sinistro cagionato dalla L. per non aver dato la precedenza, aveva avvicinato la D.G. alla quale aveva chiesto come stava e, nonostante la ragazza le avesse risposto che le faceva male una spalla, aveva minimizzato, dicendo che se stava in piedi la cosa non doveva esser grave e, sollecitata dalla cognata, si era allontanata senza dare aiuto e senza nemmeno fornire i propri dati.
Né sono dirimenti talune improprietà tecnico - giuridlche (circa il richiamo al concetto di negligenza) in cui è incorsa la Corte territoriale che ha adeguatamente spiegato la sussistenza del dolo eventuale da parte dell'imputata, evidenziato dal comportamento tenuto nell'occasione teso a minimizzare (che implica la piena consapevolezza della loro esistenza e della necessità dell'assistenza) le lesioni rappresentate dalla p.l., non attendendo i soccorsi e nemmeno fornendo le proprie generalità, prima di allontanarsi.
Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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