Aspetti generali.
Chi di voi, come me, ha la fortuna (o sfortuna, dipende dai punti di vista) di essere nato e vissuto a Genova, sicuramente avrà ascoltato qualche volta una canzone dal titolo “Superereoi contro la Municipale”, cantata da un gruppo musicale locale.
Ora, in considerazione del fatto che quando troviamo sotto il tergicristallo una “bolletta” ovvero veniamo fermati da un agente di polizia stradale – latu sensu intesa – che ci contesta un’infrazione al c.d.s. riteniamo subito di essere stati vittime di una ingiustizia e di essere malaugaratamente incappati in un pubblico funzionario curiosamente solerte, dagli oscuri natali e talvolta – perché no – pure represso (anche se, ad essere sinceri, nella maggioranza dei casi l’infrazione ci viene contestata solo perché abbiamo torto su tutta la linea!), è necessario esaminare da vicino gli strumenti di tutela che l’ordinamento ci mette a disposizione per veder riaffermato il nostro (petito) diritto a non subire una siffatta ingiustizia.
Tipologia delle sanzioni previste dal c.d.s..
Il c.d.s. fa discendere, dalla violazione delle proprie disposizioni, tre diverse tipologie di sanzioni:
pecuniarie, consistenti nel pagamento di una somma di denaro a favore dell’ente per il quale presta servizio l’agente accertatore;
amministrative accessorie, consistenti nella privazione di un diritto già acquisito dal trasgressore (o da un soggetto terzo, qualora questi sia il proprietario del bene e non sia in prima persona trasgressore) ovvero nella limitazione al suo esercizio.
Come dice il nome stesso, sono sanzioni che, nei casi espressamente previsti, “si aggiungono” sempre a quelle pecuniarie, tanto è vero che:
hanno applicazione automatica (art. 210 c. 1 c.d.s.);
in caso di rigetto del ricorso presentato, in sede giurisdizionale, contro la sanzione pecuniaria principale, nemmeno il g.d.p. può escluderne l’applicazione.
A differenza di quelle pecuniarie (per ovvie ragioni appartenenti ad un unico genus) le sanzioni accessorie si articolano nelle seguenti tre differenti tipologie di massima, distinte fra di loro a seconda del bene colpito in via diretta:
sanzioni relative ad obblighi di compiere, sospendere o cessare una determinata attività;
sanzioni concernenti il veicolo;
sanzioni concernenti i documenti di circolazione e la patente di guida.
E’ comunemente considerata sanzione accessoria, anche se non compresa nell’elenco di cui sopra, la decurtazione di punti dalla patente di guida ex art. 126-bis c.d.s..
Il principio di automaticità e di imprescindibilità di questo genere di sanzioni è riaffermato dalla necessità che siano applicate, nei casi espressamente previsti, anche quando la sanzione pecuniaria sia irrogata direttamente dal giudice chiamato a conoscere dell’illecito penale contestato al trasgressore (e pertanto punito anche con una sanzione penale).
L’art. 222 c. 1 c.d.s., infatti, dispone che il giudice, in sede di sentenza di condanna per la violazione di una disposizione del c.d.s. dalla quale sia derivato un danno alle persone, “applica le sanzioni amministrative pecuniarie previste nonché le sanzioni amministrative accessorie della sospensione o della revoca della patente”1;
penali, in relazione ai soli casi in cui il comportamento stigmatizzato è previsto come reato dal c.d.s..
Per ciascuna delle precitate tipologie, l’ordinamento appronta un sistema di tutela per che se, per le prime, è disciplinato direttamente dal c.d.s. (salvo il richiamo alla L. 689/1981 e al c.p.c. per quanto concerne l’applicazione delle disposizioni in materia di giudizio nanti il g.d.p., ovviamente nella parte in cui non siano derogate dalla citata L. 689/1981), per la terza non viene in alcun modo trattato da questo e, pertanto, trova unica fonte di disciplina nel c.p.p..
Oggetto del presente intervento sono solo i mezzi di tutela approntati contro le sanzioni pecuniarie ed amministrative accessorie conseguenti alle violazioni del c.d.s..
Il pagamento in via breve.
Come quasi tutte le sanzioni pecuniarie previste dal nostro ordinamento, anche quelle del c.d.s. hanno un minimo ed un massimo edittale: a differenza delle altre, però, queste ultime si caratterizzano per il fatto che, salvo qualche eccezione, il massimo è pari al quadruplo del minimo edittale.
Tali limiti sono di grande importanza non tanto a cagione della (limitata) libertà dell’autorità amministrativa di decidere, nel loro ambito e comunque nel rispetto dei criteri previsti dall’art. 195 c. 2 c.d.s., il quantum della sanzione effettivamente comminata, ma quanto per la possibilità, per il g.d.p. - eventualmente chiamato a decidere della controversia a seguito del ricorso presentato dal trasgressore - di applicare la sanzione nell’importo reputato maggiormente conveniente in applicazione dei criteri elencati dall’articolo appena citato.
Come vedremo, infatti, qualora il trasgressore proponga ricorso gerarchico al Prefetto, l’eventuale rigetto dell’istanza comporta l’applicazione della sanzione in una misura che può sì anche essere inferiore al limite massimo edittale previsto dalla disposizione violata, ma comunque non inferiore al doppio del minimo edittale previsto dalla medesima.
Una completa esclusione dall’applicazione dei criteri di determinazione di cui all’art. 195 c. 2 c.d.s. si ha qualora il trasgressore o uno dei soggetti con esso solidalmente obbligati ex art 196 c.d.s., entro 60 giorni dalla contestazione immediata o dalla notificazione del verbale di accertamento, decida di oblare, ossia di corrispondere all’ente o comando cui appartiene l’organo accertatore una somma pari al limite edittale minimo previsto dalla disposizione violata (art. 202 c. 1 c.d.s.): proprio al fine di favorire la definizione agevolata delle pendenze, l’art. 202 c. 2 c.d.s. prevede che il verbale, contestato o notificato, indichi le modalità di pagamento.
Quid iuris qualora tali modalità non siano indicate?
A mio avviso, costituendo il plesso normativo del c.d.s. una lex specialis rispetto alla L. 689/1981, va da sé che, per quanto non disciplinato dal primo, trovano applicazione diretta le previsioni della seconda con l’ovvia ulteriore conseguenza che anche il costrutto giurisprudenziale a quest’ultima relativo torni applicabile. Ritengo pertanto che dalla carenza, nel verbale di accertamento contestato o notificato al trasgressore, di elementi idonei ad individuare le possibili modalità di pagamento, derivi non certo l’invalidità l’atto amministrativo (sarebbe un po’ eccessivo) ma, bensì, la legittimazione di un adempimento apparentemente tardivo conseguente allo slittamento in avanti del dies a quo per l’inizio della decorrenza del termine di 60 giorni al momento in cui al trasgressore vengono comunicate le modalità di pagamento2.
L’oblazione – altresì detta pagamento in via breve o definizione agevolata – non sempre è possibile: il legislatore, infatti, in considerazione del particolare disvalore sociale di alcuni comportamenti tenuti dagli utenti della strada, ha espressamente escluso dall’applicazione di tale istituto le sanzioni (pecuniarie) comminate in esito alle violazioni enumerate dall’art. 202 c. 3 e 4 c.d.s., ossia:
indebita adibizione ad uso proprio per il trasporto di cose di un veicolo senza il titolo prescritto o violazione delle prescrizioni o dei limiti contenuti nella licenza (art. 83 c. 6 c.d.s.);
indebita adibizione al trasporto di cose per conto terzi di veicoli non adibiti a tale uso o violazione delle prescrizioni o dei limiti indicati nell’autorizzazione o nella carte di circolazione (art. 88 c. 3 c.d.s.);
messa in circolazione di un ciclomotore con targa non propria (art. 97 c. 9 c.d.s.);
messa in circolazione di un veicolo con targa non propria o contraffatta (art. 100 c. 12 c.d.s.);
violazione delle disposizioni in materia di targhe delle macchine agricole (art. 113 c. 5 c.d.s.);
violazione delle disposizioni in materia di circolazione su strada di macchine operatrici (art. 114 c. 7 c.d.s.);
guida di autoveicoli o motoveicoli senza previo conseguimento della patente di guida o con patente revocata o non rinnovata per mancanza dei requisiti previsti (art. 116 c. 13 c.d.s.);
giuda di macchine agricole o macchine operatrici senza previo conseguimento della patente (art. 124 c. 4 c.d.s.);
guida con patente o altro prescritto documento abilitativo rilasciato da uno Stato estero da parte di cittadini stranieri residenti da oltre un anno in Italia (art. 136 c. 6 c.d.s.);
trasporto di merci pericolose in assenza della prescritta autorizzazione ovvero mancato rispetto delle condizioni impste, a tutela della sicurezza, negli stessi provvedimenti di autorizzazione (art. 168 c. 8 c.d.s.);
inversione del senso di marcia ed attraversamento dello spartitraffico, anche all’altezza dei varchi, nonché impegno della carreggiata o di parte di essa in senso di marcia opposto a quello consentito, allorché tali violazioni siano commesse su carreggiate, rampe e svincoli (art. 176 c. 19 c.d.s.);
circolazione abusiva, durante il periodo in cui il documento di circolazione è ritirato, con lo stesso veicolo cui il ritiro si riferisce ovvero guida di un veicolo da parte di soggetto con patente di guida ritirata (art. 216 c. 6 c.d.s.);
circolazione con un veicolo del quale sia stata sospesa la carta di circolazione, qualora ciò avvenga nel corso del periodo di sospensione (art. 217 c. 6 c.d.s.);
circolazione abusiva da parte di soggetto con patente di guida sospesa (art. 218 c. 6 c.d.s.),
ogni altro tipo di infrazione allorché il trasgressore non abbia ottemperato all’ordine di fermarsi ovvero, trattandosi di conducente di un veicolo a motore, si sia rifiutato di esibire il documento di circolazione, la patente di guida o qualsiasi altro documento che deve avere seco ai sensi del c.d.s..
Ai sensi dell’art. 210 c. 3 c.d.s., poi, il pagamento in misura ridotta non è consentito in tutti i casi in cui alla violazione consegua l’applicazione della sanzione accessoria della confisca del veicolo.
In tutti i casi sopra citati, non essendo prevista la facoltà di definizione agevolata, il verbale di contestazione deve essere trasmesso al Prefetto del luogo della commessa violazione entro 10 giorni dalla contestazione o, nell’ultimo dei casi sopra citati, dall’identificazione del trasgressore.
2.
INFRAZIONI PUNITE CON LA SOLA PENA PECUNIARIA: I MEZZI DI TUTELA PER IL CITTADINO.
Qualora il trasgressore ed i suoi coobbligati solidali non provvedano al pagamento in via breve3 e ritengano opportuno fare valere le proprie (petite) ragioni, hanno facoltà di scegliere fra due differenti strumenti di tutela:
il ricorso gerarchico al Prefetto;
il ricorso diretto al g.d.p..
Si tratta di due azioni alternative4, tanto che l’elezione dell’una rende improcedibile quella successivamente intrapresa (electa una via non datur recursus ad alteram).
Entrambe, peraltro, hanno un elemento comune: presuppongono il mancato pagamento in via breve, laddove possibile, della sanzione irrogata. Se questo è avvenuto, anche ad opera di un solo dei coobbligati, e fermo restando il suo diritto di regresso nei confronti del trasgressore, il ricorso è inammissibile.
Le conseguenze della mancata presentazione del ricorso.
Il mancato esperimento del ricorso unitamente al mancato pagamento in via breve comporta, ex art. 203 c. 3 c.d.s., che il verbale – in deroga a quanto previsto dall’art. 17 L. 689/1981 – diventi titolo esecutivo per una somma pari alla metà della sanzione edittale massima nonché per le spese del procedimento.
Il legislatore, utilizzando la congiunzione “e”, ha subordinato l’assunzione della qualità di titolo esecutivo alla contemporanea condizione della mancata presentazione del ricorso e del mancato pagamento in misura ridotta: da ciò consegue che ciò non può avvenire in tutti i casi in cui, ex art. 202 c. 3 e 4 c.d.s., la facoltà di oblazione sia esclusa de iure. Ricorrendo una simile ipotesi – e, dunque, in mancanza del concretizzarsi della deroga all’art. 17 L. 689/1981 - quest’ultima trova nuovamente pieno vigore e, pertanto, il verbale di accertamento deve essere trasmesso al Prefetto affinché determini in concreto la sanzione e ne ingiunga il pagamento a mezzo di apposita provvedimento emesso nel rispetto della procedura di cui alla citata L. 689/1981, tranne per quanto concerne il termine per l’adozione dell’ordinanza ingiunzione che, nel caso di specie, deve essere, secondo la giurisprudenza, di 120 giorni ex art. 204 c. 1 c.d.s.5.
2.A) IL RICORSO PREFETTIZIO.
Qualificazione giuridica.
Il primo dei mezzi di tutela previsti dall’ordinamento è il ricorso al Prefetto territorialmente competente in ragione del luogo della commessa violazione.
Dubbia è la qualificazione giuridica del ricorso qui in esame; posto, infatti, che il Prefetto è sicuramente organo dell’apparato di pubblica sicurezza e che, pertanto, qualora lo strumento di tutela sia proposto avverso un accertamento stilato dalla Polizia di Stato ovvero dai Carabinieri o dalla Guardia di Finanza (tutti dipendenti, per quanto concerne le funzioni di ordine pubblico, dal Questore e, sovraordinatamente, dal Prefetto), lo stesso è ascrivile al genus del ricorso gerarchico, qualora sia diretto avverso un accertamento operato da un agente di Polizia Municipale o di Polizia Provinciale una tale qualificazione appare invero impropria, vista la completa assenza di un qualunque rapporto gerarchico fra questi ed il Prefetto.
La fattispecie sembra, piuttosto, inquadrabile nella tipologia del ricorso gerachico “improprio”, del quale presenta tutti i caratteri salienti:
previsione espressa ex lege;
individuazione, sempre ex lege, dell’organo chiamato a decidere;
assenza di un rapporto di gerarchia fra il soggetto chiamato a decidere e quello che ha emanato l’atto impugnato.
Le modalità di presentazione.
Il ricorso deve essere presentato, completo dei documenti ritenuti idonei nonché dell’eventuale richiesta di audizione personale, entro il termine perentorio di 60 giorni decorrenti dalla contestazione immediata o dal ricevimento della notificazione del verbale di accertamento6 (art. 203 c. 1 c.d.s.).
L’adempimento da porre in essere entro tale termine è:
il deposito dell’atto, completo dei documenti ritenuti idonei e dell’eventuale richiesta di audizione personale, presso l'ufficio o il comando cui appartiene l’organo accertatore;
l’invio del medesimo a mezzo di lettera raccomandata, con avviso di ricevimento, all’ufficio o comando di cui sopra ovvero direttamente al Prefetto competente (art. 203 c. 1-bis c.d.s.).
In tal caso, la data di presentazione corrisponde alla data di spedizione risultante dal timbro dell’ufficio postale sul modulo di raccomandata (art. 388 reg. att. c.d.s.).
L’attività istruttoria.
La presentazione del ricorso direttamente al Prefetto ovvero all’ente o al comando cui appartiene l’organo di accertatore non è del tutto neutra, in quanto, nel primo caso, è previsto un adempimento ulteriore diretto a portare l’ente o il comando cui appartiene l’organo accertatore a conoscenza dell’avvenuto inizio della fase contenziosa.
In particolare, qualora il ricorso venga presentato direttamente al Prefetto, questi deve trasmetterlo, entro il termine perentorio (ex art. 203 c. 1-bis c.d.s.) di 30 giorni decorrenti dalla data del deposito ovvero del ricevimento via posta dell’istanza7, al comando o ente cui appartiene l’organo accertatore affinché provveda alla relativa istruttoria.
Entro il termine perentorio di 60 giorni decorrenti (art. 203 c. 2 c.d.s.):
dal ricevimento degli atti trasmessi ai sensi dell’art. 203 c. 1-bis c.d.s.;
ovvero, qualora il ricorrente si sia avvalso della procedura di cui all’art. 203 c. 1 c.d.s., a seguito del deposito presso il comando o ente cui appartiene l’organo accertatore ovvero dell’invio ad esso tramite posta dell’originale del ricorso;
il responsabile dell’ufficio provvede a trasmettere al Prefetto tutti gli atti relativi del relativo procedimento, unitamente alla prova dell’avvenuta contestazione o notificazione nonché delle deduzioni tecniche utili a confutare o confermare le risultanze del ricorso.
Il legislatore ha strutturato la procedura in modo tale da spingere il Prefetto ad agire quale organo super partes anche se, in realtà, lascia estremamente perplessi la fiducia riposta nella capacità di un organo dell’Amministrazione di adottare scelte contrarie ad altri organi della stessa o di altra Pubblica Amministrazione (ad eccezione, ovviamente, dei casi lampanti).
L’attività istruttoria, ad ogni modo, è – salvo l’istituto dell’audizione defensoriale – puramente cartolare, nel senso che il ricorrente non potrà richiedere né l’ammissione della prova testimoniale né, tantomeno, l’esperimento di una consulenza tecnica da parte degli organi dell’Amministrazione o di un soggetto privato.
Come previsto dall’art. 204 c. 1-bis c.d.s., i termini di 30 e 60 giorni sopra visti sono "perentori e si cumulano fra di loro”, con la conseguenza, espressamente prevista, che alla loro violazione conseguire l’accoglimento del ricorso presentato.
Ora, se la perentorietà di un termine non è una novità per il nostro ordinamento, molto più singolare è la presenza di due termini perentori “cumulati” fra di loro.
Cosa avrà mai avuto in mente il legislatore usando questa sibillina definizione? Ad essere perentorio è un termine pari alla somma dei due sopra visti, con la conseguenza che l’accoglimento de iure del ricorso consegue solo al superamento del periodo di 90 giorni senza che abbia importanza il fatto che, ad esempio, la richiesta di trasmissione degli atti sia inviata dal Predetto all’ente o comando dal quale dipende l’organo accertatore dopo i 30 giorni di cui all’art. 203 c. 1-bis c.d.s.; ovvero semplicemente la definizione usata ha valore rafforzativo della perentorietà di entrambi i termini?
Purtroppo, la giurisprudenza sembra essere orientata nel primo senso, ossia di considerare perentorio il termine di 90 giorni conseguente alla somma dei termini di 30 e 60 giorni previsti dalle richiamate disposizioni8.
Ma cosa accade se il Prefetto, nonostante lo “sforamento” del termine sopra visto, non dispone l’immediato accoglimento del ricorso decidendo, anzi, nel merito in senso contrario al ricorrente? La pronuncia certo non è tamquam non esset anche se sicuramente illegittima e, come tale, deve essere fatta oggetto - pena la sanatoria del vizio che la affligge - del ricorso in opposizione ex art. 205 c.d.s.9.
L’ordinanza decisoria.
Il Prefetto decide sulla base delle argomentazioni contenute nel ricorso e degli atti allegati nonché di quelli prodotti dall’ente o dal comando cui appartiene l’organo accertatore.
Abbiamo peraltro detto che – similmente a quanto previsto dalla L. 689/1981 – il ricorrente può richiedere di essere ascoltato personalmente. La presentazione di tale richiesta obbliga il Prefetto a disporre l’audizione personale, pena l’invalidità del provvedimento conclusivo rilevabile in sede di ricorso ex art. 205 c. 1 c.d.s.10.
La richiesta di audizione ha un altro effetto: sospende de iure, con decorrenza dal momento in cui al ricorrente viene notificato l’invito per la presentazione, il termine perentorio previsto per l’adozione dell’ordinanza decisoria, determinato in 120 giorni decorrenti dal giorno in cui il Prefetto ha ricevuto gli atti trasmessi dall’ente o dal comando cui appartiene l’organo accertatore (art. 204 c. 1 e 1-ter c.d.s.)11.
Come è automatica la sospensione, altrettanto deve dirsi per il termine di emissione del provvedimento finale, che riprende a decorrere:
dal giorno di espletamento dell’audizione;
ovvero, in caso di mancata presentazione del ricorrente, dal giorno fissato per l’audizione.
La ripresa del decorso del termine non è impedita dal fatto che l’assenza fosse giustificata; l’art. 204 c. 1-ter ultimo periodo c.d.s., infatti, collega l’assenza di giustificazione alla decisione da parte del Prefetto, senza ulteriori formalità, del ricorso, lasciando così sottintendere che, ricorrendo una giustificazione, il Prefetto abbia pur sempre la possibilità – seppur in regime di decorso dei termini decisionali – di escutere il ricorrente.
Ad ogni modo, la decisione prefettizia emessa oltre il termine di 120 giorni sopra richiamato è affetta da radicale nullità, eccepibile esclusivamente nelle forme di cui all’art. 205 c.d.s.12.
Ipotizzando sia tempestiva, la decisione del Prefetto, in forma di ordinanza motivata, può sostanzialmente essere:
dichiarativa dell’inammissibilità o irricevibilità del ricorso, qualora sia stato presentato oltre il termine perentorio di cui all’art. 203 c. 1 c.d.s. o sia posteriore al ricorso al g.d.p. o al pagamento in via breve ex art. 202 c.d.s.;
di accoglimento.
In tal caso, il Prefetto ordina l’archiviazione degli atti e la comunicazione integrale del provvedimento adottato all’ente o al comando cui appartiene l’organo accertatore, il quale ne dà poi notizia al ricorrente.
Fra il Prefetto ed il ricorrente, pertanto, non si crea alcun rapporto diretto in quanto la decisione viene comunicata a quest’ultimo per il tramite obbligatorio dell’ente o del comando cui appartiene il soggetto accertatore;
di rigetto.
In tal caso, il Prefetto determina, applicando i criteri di cui all’art. 195 c.d.s., l’importo della sanzione pecuniaria in una misura compresa fra il doppio del minimo ed il massimo edittale e ne ingiunge il pagamento, unitamente alle spese di procedimento e di notifica, al trasgressore ed ai coobbligati in solido, cui l’ordinanza-ingiunzione deve essere notificata entro il termine perentorio di 150 giorni decorrenti dalla sua adozione.
Il pagamento delle somme ingiunte deve avvenire entro il termine di 30 giorni decorrenti dalla notificazione decorsi i quali l’ordinanza-ingiunzione, costituendo titolo esecutivo, viene portata ad esecuzione coatta.
2.B) IL RICORSO GIURISDIZIONALE DIRETTO AL G.D.P.
Modalità e termini di presentazione.
Il secondo mezzo di tutela, alternativo rispetto al precedente, è il ricorso diretto al g.d.p. territorialmente competente in ragione del luogo della commessa violazione.
Tale ricorso, che si estende automaticamente anche alla sanzione accessoria (art. 204-bis c. 2 c.d.s.) deve essere presentato entro il termine perentorio di 60 giorni decorrenti dalla contestazione immediata ovvero dal ricevimento della notificazione (art. 204 c. 1 c.d.s.), con il rispetto delle formalità di cui all’art. 22 L. 689/1981.
Come per il caso precedente, anche qui adempimento da compiere entro il termine decadenziale è il deposito dell’atto in originale, corredato dall’originale del verbale di accertamento nonché della documentazione ritenuta utile ai fini del giudizio, presso la cancelleria del g.d.p. competente.
Il c.d.s. non prevede espressamente la spedizione del ricorso a mezzo posta; nondimeno, la Corte Costituzionale è intervenuta sul punto13, anche se in relazione all’art. 22 L. 689/1981, dichiarando l’illegittimità di detta disposizione nella parte in cui non prevede che il ricorso possa essere “presentato a mezzo del servizio postale in alternativa al deposito presso la cancelleria del giudice competente”.
Qualora il ricorrente si avvalga di tale possibilità, la formalità da compiere entro il termine di 60 giorni sopra visto è la consegna del plico all’ufficio postale per la spedizione14.
Non è invece richiesta alcuna preventiva notifica alla controparte in quanto a tale incombente provvederà, unitamente al decreto di fissazione d’udienza, la cancelleria ex art. 23 c. 2 L. 689/1981.
La presentazione del ricorso, esattamente come accade in sede prefettizia, non ha automatica valenza sospensiva dell’efficacia dell’accertamento con la conseguenza che l’Amministrazione ben potrebbe portare ad esecuzione l’atto anche a seguito del radicamento della lite nanti il g.d.p.: ciò può essere evitato richiedendo – dando ovviamente prova sia del fumus bonis iuris sia del periculum in mora –l’emissione di un decreto (che, normalmente, avviene inaudita altera parte e comunicato insieme all’avviso di udienza) di sospensione dell’efficacia degli atti impugnati.
Attività istruttoria ed ammissibilità della prova testimoniale.
Il processo nanti il g.d.p. si svolge secondo le modalità previste dall’art. 23 L. 689/1981, per quanto non derogato dal c.d.s., e, per quanto da tali fonti non disciplinato, secondo quanto previsto dal c.p.c..
L’Amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, anche se ricopre la posizione di soggetto convenuto, è tenuta, con inversione rispetto alla comune articozione dell’onus probandi in sede processuale, a dover provare la fondatezza dei propri atti15 e, conseguentemente, della propria pretesa sanzionatoria.
A differenza di quanto previsto in sede di procedimento prefettizio, in sede giurisdizionale è ammissibile la prova testimoniale (la quale, peraltro, può anche essere disposta ex officio dal giudice16), ovviamente nei limiti stabiliti dal c.p.c. con la conseguenza che il ricorrente, il trasgressore e gli altri coobbligati in solido, avendo un interesse immediato e diretto nella definizione del processo, non potranno essere esperiti come testimoni17; peraltro, parte della giurisprudenza ammette la possibilità, per il giudice, di sentire anche persone nei confronti dei quali la prova testimoniale non può essere esperita, a condizione, però, che ciò avvenga ai soli fini della formazione di un argomento di prova18.
Esattamente come la testimonianaza, in sede giurisdizionale sono esperibili tutti gli altri mezzi di prova previsti dal c.p.c., ad eccezione del giuramento decisorio.
La decisione del giudice.
Una volta terminata l’istruttoria, il g.d.p. pronuncia con sentenza sul ricorso.
Questa può avere un triplice contenuto, in quanto può:
dichiararne l’inammissibililità o l’irricevibililità, se depositato oltre il termine decadenziale di cui all’art. 204-bis c. 1 c.d.s., o a seguito della previa presentazione del ricorso al Prefetto o del previo pagamento in misura ridotta ex art. 202 c.d.s.;
accoglierlo, in toto o in parte.
In caso di accoglimento totale, il g.d.p. annulla il verbale deprivando così l’Amministrazione dalla possibilità di portarlo ad esecuzione, e ciò, in applicazione del principio generale di cui art. 292 c.p.c. per il quale tutte le sentenze sono immediatamente esecutive, anche in pendenza del termine per la presentazione del ricorso in Cassazione.
Qualora, viceversa, l’accoglimento sia stato solo parziale, il g.d.p. provvederà, per la parte rigettata, come indicato nella successiva lettera c).
Punto storicamente dolente delle decisioni del g.d.p., specie in caso di accoglimento del ricorso, è la condanna alle spese. Chiunque abbia modo di consultare un repertorio giurisprudenziale, si accorgerà come questi giudici (molti più di quelli togati) abbiano l’abitudine di dichiararne, quasi sempre, l’integrale compensazione. Ora, se è vero che è sicuramente applicabile anche al giudizio qui in esame l’istituto della compensazione delle spese, è altrettanto vero che questo è stato pensato dal legislatore come una possibilità concessa nel caso in cui vi sia soccombenza reciproca ovvero ricorrano “altri giusti motivi”.
La giurisprudenza, come è noto, ritiene non censurabile in punto di legittimità la decisione del giudice di merito che abbia disposto, al di fuori del caso della soccombenza reciproca, la compensazione di spese a meno che la medesima non sia completamente apodittica e del tutto avulsa da una valutazione, anche generale, della ricorrenza del presupposto degli “altri giusti motivi”19.
Se la compensazione di spese – sempre al di fuori del caso della soccombenza reciproca, che, in ipotesi di liti aventi ad oggetto violazioni al c.d.s., può aversi solo quando il ricorso venga accolto solo in relazione ad alcune delle violazioni contestate – può essere considerata moralmente ammissibile in casi particolarmente complessi o che denotino comunque un comportamento, per così dire, in mala fede da parte del ricorrente (comunque) risultato vittorioso, la mala pratica dei g.d.p. ha portato ad una applicazione generalizzata dell’istituto con la conseguenza che quasi mai l’Amministrazione Pubblica viene condannata alle spese, nemmeno nei (non rari) casi in cui ha palesemente torto.
In particolare, a mio modo di vedere, la condanna alle spese (per non dire la condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c. 1 c.p.c.) dovrebbe essere disposta in tutti i casi in cui l’Amministrazione non abbia accolto la richiesta di annullamento in autotutela del verbale di accertamento, ovviamente nei casi in cui tale domanda sia stata corredata fin dall’inizio della documentazione idonea a sufficiente a rendere palese l’errore in cui è incorso l’agente accertatore: ricorrendo tale ipotesi, infatti, non si può dire che l’Amministrazione non conoscesse – ovvero non potesse sapere, facendo uso di quel minimo grado di raziocinio che ogni persona dovrebbe avere – l’illegittimità delle proprie pretese; l’ignavia di un pubblico funzionario, infatti, non può e non deve, per lo meno in un Paese civile come il nostro pretende di essere, tornare a detrimento del cittadino che, per sua sfortuna, ha qualche pendenza con l’Amministrazione Pubblica.
Un simile principio è stato, peraltro, diverse volte affermato in sede di processo tributario nei casi in cui gli uffici finanziari si siano rifiutati, apoditticamente, di accogliere la richiesta di annullamento in autotutela presentata dal ricorrente20;
il rigettarlo.
In tal caso, il g.d.p. determina, in base al proprio “libero convincimento” – anche se, in realtà, deve pur sempre agire nel rispetto dei criteri di cui all’art. 195 c.d.s., - l’importo della sanzione pecuniaria in una somma comunque non inferiore al minimo edittale stabilito dalla legge per la violazione contestata.
Il g.d.p. gode di un’automonia maggiore rispetto a quella riconosciuta al Prefetto in sede di emissione dell’ordinanza-ingiunzione. Su una cosa, invece, non dispone di alcuna libertà: l’applicazione delle sanzioni accessorie: l’art. 204-bis c. 8, infatti, espressamente dispone che, in caso di rigetto del ricorso, il g.d.p. non può escludere l’applicazione delle sanzioni accessorie o la decurtazione dei punti dalla patente di guida.
E’ comunque importante notare come la sentenza di rigetto con la quale viene contestualmente disposta una riduzione, anche sensibile, della sanzione non equivale ad accoglimento dei motivi di ricorso e, pertanto, non comporta soccombenza alcuna della Pubblica Amministrazione21.
Mezzi di tutela contro la decisione del g.d.p..
Trovando applicazione – ex artt. 194 e 204-bis c. 2 c.d.s. – l’art. 23 L. 689/1981, la sentenza del g.d.p. non sia appellabile ma solo ricorribile per Cassazione, ovviamente nei soli casi in cui sia contestato uno dei motivi di ricorso di cui all’art. 360 c.p.c..
2.C) IL RICORSO GIURISDIZIONALE INDIRETTO AL G.D.P.
A differenza delle sentenze del g.d.p., le ordinanze prefettizie sono ricorribili sia per ragioni di merito sia per motivi di diritto: il principio dell’alternatività vale solo nei confronti del ricorso presentato contro il l’atto accertamento di infrazione, e non contro la decisione con la quale il Prefetto decide il ricorso in opposizione.
Fra l’altro, esistono dei casi – e, segnatamente, tutti quelli in cui il c.d.s. esclude il pagamento in via breve ex art. 202 c.d.s. – in cui, in assenza di impugnazione, il verbale non si trasforma in titolo esecutivo, con la conseguenze il medesimo deve essere necessariamente trasmesso al Prefetto affinché venga emessa ordinanza-ingiunzione ex art. 17 L. 689/1981; anche contro questo atto, che sarebbe ovviamente il primo vero atto lesivo nei confronti del destinatario, è ovviamente ammesso ricorso giurisdizionale.
Entrambi i casi sopra richiamati (ordinanza-ingiunzione emessa in esito al ricorso ex art. 203 c.d.s. ed ordinanza-ingiunzione emessa ex nihilo ex art. 203 c. 3 c.d.s. e 17 L. 689/1981) trovano adeguata disciplina nell’art. 205 c.d.s. in virtù del quale contro le ordinanze-ingiunzione è proponibile opposizione – mediante ricorso – al giudice competente in ragione del luogo in cui è stata commessa la violazione22.
Peraltro, la giurisprudenza, coadiuvata anche dalla migliore dottrina23, ha escluso la possibilità di esperire l’opposizione qui in esame allorché la violazione commessa costituisca fattispecie penalmente rilevante (come nel caso della sospensione o del ritiro della patente conseguente alla guida in stato di ebrezza).
Particolarità del giudizio di opposizione ex art. 205 c.d.s..
Il giudizio di opposizione qui in esame altro non è se non lo stesso istituto processuale disciplinato dagli artt. 22, 22-bis e 23 L. 689/1981 con la conseguenza che tali disposizioni sono in toto applicabili, salve le specifiche deroghe del c.d.s..
Tale conclusione è rafforzata dal fatto che anche il termine previsto per la presentazione del ricorso – stabilito in 30 giorni dalla data di notifica dell’ordinanza-ingiunzione ovvero di 60 giorni, sempre decorrenti da tale momento, qualora il ricorrente risieda all’estero (termine entro il quale il deposito deve essere depositato nella cancelleria del giudice competente) – è identico a quello previsto dall’art. 22 c. 1 L. 689/1981.
Il termine di impugnazione deve essere espressamente indicato nell’ordinanza-ingiunzione, esattamente come deve essere data notizia del giudice al quale è possibile proporre opposizione. La mancata o erronea indicazione di tali dati non ha efficacia invalidante dell’atto, ma, semplicemente, legittima la presentazione del ricorso anche oltre il termine decadenziale sopra visto24.
A differenza del ricorso ex art. 204-bis c.d.s., il giudizio ex art. 205 c.d.s. non è di competenza esclusiva del g.d.p., con la conseguenza che, nei casi di cui all’art. 22 c. 2 e 3 L. 689/1981, lo stesso dovrà essere presentato presso il Tribunale in composizione monocratica25.
Altra fondamentale differenza rispetto al ricorso ex art. 203 c.d.s. è che qui l’intervenuto pagamento della sanzione pecuniaria ingiunta con l’ordinanza decisoria non ha alcuna conseguenza impediente in ordine alla ricevibilità del ricorso con la conseguenza che questa potrà essere comunque proposta anche qualora il debito sia già stato onorato, e salvo, ovviamente, rimborso in caso di accoglimento26.
Come del resto accade per i “normali” giudizi di opposizione ex L. 689/1981, anche qui la presentazione del ricorso non ha effetto sospensivo dell’efficacia dell’atto impugnato, con la conseguenza che il ricorrente dovrà, al fine di evitare il rischio che l’Amministrazione lo porti comunque medio tempore ad esecuzione, richiedere l’emissione di un provvedimento di sospensione che, come già visto in precedenza, assume le forme del decreto emesso inaudita altera parte, portato a conoscenza dell’autorità procedente direttamente dalla cancelleria unitamente al ricorso ed al decreto di fissazione d’udienza.
I soggetti legittimati.
Legittimato attivo al ricorso ex art. 205 c.d.s. è sicuramente il ricorrente in sede prefettizia; a mio avviso, però, dall’ampia dizione usata dal legislatore – il quale riconosce la legittimazione attiva a tutti “gli interessati” – dovrebbe discendere, come logica conseguenza, che il ricorso possa essere presentato anche dal trasgressore, qualora già non ricorrente ex art. 203 c.d.s., nonché degli altri soggetti solidalmente responsabili nel pagamento della sanzione ex art. 196 c.d.s. a patto che, ovviamente, l’originale verbale di accertamento sia stato anche a questi notificato27.
Legittimazione passiva, invece, compete esclusivamente al Prefetto che ha emesso il provvedimento impugnato il quale, peraltro, può delegare la tutela giudiziaria all’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, nei casi in cui questa sia destinataria dei proventi della sanzione irrogata; la previsione expressis verbis della legittimazione passiva del Prefetto è stata introdotta dal D.L. 151/2003 che, andando a modificare l’art. 205 c. 3 c.d.s., ha messo fine ad una lunga ed estenuante controversia giurisdizionale che vedeva, nel silenzio del testo in allora vigente, da un lato fronteggiarsi un orientamento che riconosceva nel Prefetto – quale organo che ha adottato l’atto impugnato – unico legittimato passivo (peraltro confrormemente a quanto previsto dalla L. 689/1981) ed un orientamento, diametralmente opposto, che, invece, riconosceva la legittimazione passiva alle amministrazioni centrali cui appartiene l’agente accertatore28.
La decisione del giudice.
La decisione del giudice – che dovrà avere forma di sentenza – potrà essere, come sempre:
dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso, in quanto tardivo;
di accoglimento, con conseguente annullamento – anche solo parziale, qualora sia articolata per capi - dell’ordinanza-ingiunzione ed eventuale rimborso di quanto corrisposto dal ricorrente e dai soggetti coobbligati in solido, oltre all’eventuale condanna della Prefettura al risarcimento dei danni cagionati (sempre, però, con rispetto del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, pena vizio di ultrapetizione);
di rigetto, con conseguente mantenimento in vita del provvedimento contro cui è stata coltivata l’azione.
A tal proposito, in conseguenza del fatto che la disposizione di cui all’art. 204-bis c. 7 c.d.s. è applicabile anche al procedimento qui in esame, il giudice – senza che ciò costituisca soccombenza dell’Amministrazione resistente – può disporre l’applicazione della sanzione pecuniaria anche in una misura inferiore rispetto a quella stabilita dal Prefetto, purché, comunque, nel rispetto del minimo edittale previsto dalla norma violata.
Al contrario, non risulta essere applicabile l’art. 204-bis c. 8 c.d.s.; il silenzio serbato a tal proposito dal legislatore è, a mio modo di vedere, estremamente significativo: la mancata riproposizione del divieto di escludere l’applicazione delle sanzioni accessorie ovvero la decurtazione dei punti non può significare che il giudice è libero di disporre la misura accessoria o la decurtazione dei punti.
Come già detto in precedenza, esaminando le sentenze emesse dal g.d.p. in esito alla procedura ex art. 204 c.d.s., anche in questi casi le pronunce non sono appellabili ma solo ricorribili per Cassazione nei limiti dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c..
3.
INFRAZIONI PUNITE CON UNA PENA ACCESSORIA NON PECUNIARIA: I MEZZI DI TUTELA PER IL CITTADINO.
La materia delle pene accessorie è stata, in passato, oggetto di aspro contrasto giurisprudenziale: ad una tesi che la voleva rientrante nella A.G.A., se ne opponeva un’altra che riconosceva la giurisdizione del G.O..
La questione è peraltro di facile soluzione laddove si consideri che lo stesso c.d.s., che normalmente prevede l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie quale conseguenza ulteriore della violazione delle proprie disposizioni già punite con una sanzione pecuniaria, disciplina anche alcuni casi in cui una misura in tutto e per tutto simile ad una delle sanzioni accessorie sopra dette può essere applicata anche in assenza di una violazione codicistica.
Esempio eclatante è la revoca della patente di guida disposta dal Prefetto, ai sensi dell’art. 120 c.d.s., nei confronti dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza ed a coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione ex L. 1423/1956 e L. 575/1965 nonché alle persone condannate a pena detentiva non inferiore a 3 anni, “allorché l’utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura”: come ictu oculi evidente, il Prefetto è obbligato all’emanazione del provvedimento di revoca che, seppur assolutamente avulso da una violazione del c.d.s., ha effetti in tutto e per tutto assimilabili alla revoca della patente disposta quale ulteriore conseguenza di una tale violazione.
La giurisprudenza in oggi maggioritaria ha risolto arcano riconoscendo la giurisdizione ordinaria allorché l’opposizione abbia ad oggetto una sanzione accessoria conseguente alla violazione di una disposizione punita anche con una sanzione pecuniaria, e ciò indipendentemente dal fatto che, nel caso concreto, il giudizio abbia ad oggetto la sola sanzione amministrativa accessoria a cagione del già intervenuto pagamento della sanzione pecuniaria29. Viceversa, la giurisdizione amministrativa sussiste in tutti i casi in cui la “misura” con i medesimi effetti della sanzione accessoria non sia una conseguenza di una violazione del c.d.s. avente rilievo amministrativo o penale30.
3.A) L’OBBLIGO DI RIPRISTINO DELLO STATO DEI LUOGHI O DI RIMOZIONE DI OPERE ABUSIVE (ART. 211 C.D.S.)
Le prime due sanzioni accessorie previste dal c.d.s., ossia:
l’obbligo di ripristino dei luoghi;
l’obbligo di rimozione delle opere abusive;
trovano disciplina nell’art. 211 in virtù del quale l’agente accertatore deve farne menzione nel verbale contestato immediatamente ovvero notificato nelle forme di legge.
Il verbale costituisce titolo esecutivo “anche per l’applicazione della sanzione accessoria”.
L’espressione usata dal legislatore è di facile interpretazione anche se un suo accostamento all’art. 202 c. 3 c.d.s. potrebbe comportare non pochi problemi di coordinamento con le ulteriori previsioni dell’art. 211 c.d.s., specie laddove si sposi l’interpretazione per la quale l’acquisizione della vis di titolo esecutivo è differita all’infruttuoso scadere del termine per la proposizione del ricorso; così fosse, infatti, non si spiegherebbe la ragione per la quale l’organo di polizia debba trasmettere al Prefetto, per l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione prevista dall’art. 211 c. 4 c.d.s., il verbale di accertamento che ha appena acquistato efficacia esecutiva e che, pertanto, può essere portato ex se ad esecuzione forzosa.
In realtà, il sistema delineato dal legislatore non è articolato in questo modo. In sede di verbale di contestazione, infatti, l’agente accertatore non “ingiunge” alcunché ma si limita semplicemente a fornire delle indicazioni al trasgressore ordinandogli il ripristino dei luoghi ovvero la rimozione delle opere con la conseguenza che se l’ordine viene eseguito, la procedura automaticamente si estingue e non vi è alcuna necessità di trasmettere gli atti al Prefetto per l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione la cui inutilità risulta evidente anche ad un cieco.
Mancata presentazione del ricorso avverso
la sanzione pecuniaria.
La trasmissione degli atti al Prefetto, pertanto, è richiesta, ex art. 211 c. 3 c.d.s., allorché, nel termine di 60 giorni dalla contestazione immediata ovvero dalla notifica del verbale di accertamento, il trasgressore non abbia né presentato ricorso ai ex artt. 203 e 204-bis c.d.s. né adempiuto l’ordine impartitogli.
La trasmissione degli atti deve avvenire entro i 30 giorni successivi allo scadere del termine di cui sopra. Sulla natura di questo termine non esiste un grande repertorio giurisprudenziale: nondimeno, nonostante il fatto che le sanzioni qui in esame sono comunque accessorie, non ritengo che le disposizioni di cui all’art. 17 L. 689/1981 – la cui applicazione in via residuale rispetto al c.d.s. è sancita dall’art. 194 c.d.s. – specie laddove queste non prevedono un termine perentorio specifico, diverso da quello prescrizionale di 5 anni, per l’inoltro del rapporto, possano portare a consentire perentorio il termine previsto per la trasmissione degli atti che, pertanto, deve essere considerato meramente ordinatorio.
La trasmissione degli atti, che ben può equipararsi all’obbligo del rapporto previsto dal citato art. 17 L. 689/1981, è funzionalizzata a consentire al Prefetto, entro 30 giorni decorrenti dal ricevimento degli atti, l’emissione di apposita ordinanza, costituente titolo esecutivo, con cui imporre al trasgressore l’adempimento dell’obbligo omesso entro un termine appositamente fissato in considerazione delle opere da realizzare.
Contro l’ordinanza de quo è esperibile il ricorso al giudice ai sensi dell’art. 205 c.d.s. (cfr. art. 211 c. 7 c.d.s.).
Avvenuta presentazione del ricorso
contro la sanzione pecuniaria.
Viceversa, qualora il ricorso contro la sanzione pecuniaria sia stato presentato nei termini, la decisione prefettizia di archiviazione o la sentenza di annullamento emessa dal g.d.p. comportano automatica caducazione non solo della sanzione pecuniaria principale, ma anche della sanzione amministrativa accessoria (cfr. art. 211 c. 5 c.d.s.).
3.B) SANZIONE ACCESSORIA DELL’OBBLIGO DI SOSPENDERE UNA DETERMINATA ATTIVITA’ (ART. 212 C.D.S.)
Altra sanzione accessoria è l’ordine di sospendere o cessare una determinata attività, di cui all’art. 212 c.d.s.. Ricorrendo una fattispecie per la quale è prevista tale misura, l’agente accertatore deve farne menzione nel verbale contestato immediatamente ovvero notificato nelle forme di legge che, come nel caso precedente, costituisce titolo esecutivo “anche per l’applicazione della sanzione accessoria”.
Dal valore di titolo esecutivo assegnato al verbale discende che l’ordine in esso contenuto è immediatamente vincolante per il destinatario che, infatti, deve adempierlo immediatamente o, qualora le circostanze lo consentano, entro 5 giorni dalla data della contestazione o della notificazione (art. 212 c. 1 c.d.s.).
Mancata presentazione del ricorso avverso
la sanzione pecuniaria.
A differenza del caso precedente, la mancata ottemperanza del comporta la trasmissione degli al Prefetto ma, bensì, la denuncia all’A.G.O. ex art. 650 c.p..
Non solo. L’ufficio o il comando dal quale dipende l’agente accertatore provvederà anche all’esecuzione coattiva dell’obbligo trasgredito, redigendo apposito verbale delle operazioni effettuate che dovrà essere comunicato al Prefetto ed al trasgressore.
La comunicazione al Prefetto è finalizzata soprattutto al recupero delle spese conseguenti all’esecuzione coatta, in quanto è previsto (cfr. art. 212 c. 4 ultimo periodo) che vi si provveda con apposita ordinanza-ingiunzione, ovviamente ricorribile nelle forme di cui all’art. 22 L. 689/1981.
Avvenuta presentazione del ricorso
contro la sanzione pecuniaria.
Qualora il trasgressore abbia presentato ricorso ex art. 203 c.d.s. contro il verbale di accertamento, questo si considera automaticamente presentato sia contro la sanzione pecuniaria che contro la quella accessoria (cfr. art. 212 c. 2 c.d.s.) con la conseguenza che l’eventuale ordinanza di archiviazione determina l’automatica caducazione anche di quest’ultima.
Nel caso in cui, invece, decidendo il ricorso, il Prefetto non accolga le motivazioni addotte ed emetta ordinanza-ingiunzione in tal senso, il trasgressore potrà proporre ricorso in opposizione ex art. 205 c.d.s., anch’esso automaticamente esteso alla sanzione accessoria (cfr. artt. 204-bis c. 2, 205 e 212 c. 3 c.d.s.).
Il trasgressore, peraltro, anziché presentare prima facie ricorso al Prefetto, può sicuramente adire direttamente il g.d.p. ai sensi dell’art. 204-bis ed anche in questo caso il ricorso si intende automaticamente esteso anche alla sanzione accessoria.
Problemi derivanti dal mancato
coordinamento interno dell’art. 212 c.d.s..
A questo punto, non si può non notare come vi sia un fallace collegamento tra la disciplina dei sistemi di tutela del cittadino e quella concernente le conseguenze del mancato adeguamento all’ordine dell’agente accertatore.
Posto, infatti, che l’ottemperanza deve avvenire immediatamente o, al più tardi, entro 5 giorni dalla data di contestazione dell’infrazione o di notificazione del verbale, il ricorso contro la sanzione pecuniaria può essere presentato – ex art. 203 c.d.s. – entro 60 giorni da tale momento; medio tempore, l’agente accertatore avrà già provveduto a denunciare ex art. 650 c.p. il malcapitato di turno e – se costui è proprio “fortunato” – nei suoi confronti potrebbe addirittura già essere stata emessa apposita ordinanza-ingiunzione per il recupero delle spese conseguenti all’esecuzione coattiva.
E’ chiaro che l’eventuale accoglimento del ricorso da parte del Prefetto, comportando la caducazione della sanzione accessoria, determina sicuramente il venir meno dell’elemento oggettivo del reato e, pertanto, la sicura archiviazione in sede di indagine preliminare della posizione del trasgressore; allo stesso modo, da tale decisione dovrebbe conseguire l’annullamento in autotutela dell’ordinanza-ingiunzione con la quale si provvedere al recupero delle spese conseguenti all’esecuzione coattiva.
Ma, se così non fosse? Se – poniamo – il trasgressore abbia già dovuto assoldare un leguleio per partecipare ad uno degli atti “garantiti” previsti dal c.p.p. ovvero se gli sia già stata comunicata l’avvenuta iscrizione al registro degli indagati con conseguente richiesta di elezione di domicilio e di nomina del legale di fiducia? Le relative spese… a carico di chi sono? Beh, inutile dire che, salva la possibilità di citare in giudizio l’Amministrazione dalla quale dipende l’organo accertatore (con esiti quanto mai incerti), sarà il trasgressore a sostenere le spese della propria difesa.
Allo stesso modo, qualora, per un curioso caso del destino, non venga disposta la revoca dell’ordinanza-ingiunzione avente ad oggetto le spese di esecuzione coatta, quali mezzi di tutela ha il trasgressore per evitare di vedersi aggiungere al danno la beffa? Non potrà fare altro che proporre ricorso in opposizione ex art. 22 L. 689/1981 contro tale atto, a patto che, ovviamente, non sia ancora decorso il termine previsto dalla norma; qualora, invece, questo sia già decorso, reputata non percorribile la soluzione dell’azione di accertamento nei confronti dell’Amministrazione, la soluzione al problema è rappresentata dalla presentazione del ricorso avverso l’atto (normalmente l’iscrizione a ruolo) con il quale l’Amministrazione procede all’esecuzione coatta dell’obbligazione pecuniaria rimasta insoluta.
4.C) LA CONFISCA
DEL VEICOLO (ART. 213 C.D.S.).
La confisca è quel provvedimento amministrativo di matrice punitiva – principale o accessorio che sia – con il quale la Pubblica Amministrazione, nei casi espressamente previsti dalla legge, acquista la proprietà di un bene (in precedenza appartenente ad un altro soggetto) impiegato per la commissione di un reato o di una violazione amministrativa o che ne sia il prodotto o profitto ovvero il cui possesso o detenzione costituisca ex se violazione amministrativa.
La confisca amministrativa, quale istituto generale, trova disciplina nell’art. 20 L 689/1981, che prevede gli istituti della:
confisca facoltativa, possibile in relazione agli oggetti impiegati per la commissione della violazione, indipendentemente dal fatto che loro proprietario sia il trasgressore o altro soggetto;
confisca obbligatoria, che l’Amministrazione è tenuta ad operare in relazione alle cose:
costituenti prodotto (nel senso di reddito o conseguenza positiva) della violazione, a condizione che loro proprietario sia il trasgressore;
la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce violazione, e ciò anche quando l’azione punitiva non sia stata tempestivamente esercitata per mancata emissione dell’ordinanza-ingiunzione ex art. 18 L. 689/1981 o perché questa, riconoscendo la carenza di uno degli elementi costitutivi la violazione, dispone l’archiviazione degli atti.
Con il chiaro intento di evitare che il trasgressore o il destinatario della confisca possa sottrarre alla loro sorte i beni, l’art. 13 L. 689/1981 consente all’organo accertatore la possibilità di disporre il sequestro di tali beni; questo, peraltro, da facoltativo diventa obbligatorio in tutti i casi in cui l’agente accertatore si trovi di fronte:
un veicolo a motore o un natante posto in circolazione senza la prescritta copertura assicurativa;
un veicolo posto in circolazione senza che per esso sia stato rilasciato il libretto di circolazione.
Ora, se questa è la disciplina generale, occorre esaminare quali sono le disposizioni del c.d.s. applicabili.
L’istituto del sequestro è regolamentato dagli artt. 213 c.d.s. e 394 reg. att. c.d.s.. Incipit: raramente mi è capitato di aver letto una disposizione tanto scoordinata quanto l’art. 213 appena citato.
Ma veniamo ad una disamina di questo apparto normativo “speciale”.
Le modalità di assoggettamento a sequestro
finalizzato a confisca.
Come già detto, anche il c.d.s. consente all’organo accertatore di provvedere al sequestro “del veicolo o delle altre cose oggetto della violazione” a condizione che “non appartengano a persone estranee alla violazione amministrativa”31.
Cosa si intende con tale termine? A mio modo di vedere, non possono certo essere considerati estranei alla violazione i soggetti coobbligati ai sensi dell’art. 196 c.d.s., in quanto nei loro confronti si ripercuotono comunque le conseguenze negative dell’accertamento: la giurisprudenza si è schierata in tal senso decidendo un caso relativo ad una posa in circolazione di un autovettura priva di carta di circolazione e riconoscendo, in inciso, che non possono essere considerati “estranei alla violazione” i coobbligati solidali32.
Ma il fatto che i beni suscettibili di confisca appartengano ad un soggetto estraneo non è sufficiente ad evitarne il sequestro: occorre anche che il loro uso possa “essere consentito mediante autorizzazione amministrativa”, e ciò anche qualora questa non sia, al momento dell’accertamento, ancora rilasciata o addirittura richiesta.
Occorre comunque sottolineare che, a differenza della figura disciplinata dall’art. 193 c.d.s., il sequestro ex art. 213 c.d.s. può avere ad oggetto anche beni diversi dal veicolo, come, ad esempio, caschi da motociclista (art. 171 c. 5 c.d.s.), cinture di sicurezza (art. 172 c. 11 c.d.s.)…
Al di fuori dei casi di esclusione sopra visti, la lettera usata dal legislatore rende chiaro come il sequestro sia, per l’organo accertatore, sempre obbligatorio.
Da ciò, peraltro, non discende che esso debba essere sempre contestuale all’accertamento della violazione: è infatti immaginabile una molteplicità di casi in cui la verifica dei presupposti necessari per il sequestro richieda un certo lasso di tempo dal momento dell’accertamento della violazione.
Il verbale di sequestro e la custodia del veicolo.
Indipendentemente dal fatto che venga operato contestualmente all’accertamento della violazione o in un secondo momento, del sequestro e della nomina a custode viene fatta espressa menzione nel verbale redatto dall’organo accertatore.
Questo deve essere notificato al trasgressore e, necessariamente, al proprietario del bene, e ciò anche qualora, trattandosi di un veicolo, non possa essere considerato coobbligato in solido nella violazione in quanto risulta che la circolazione del mezzo sia avvenuta contro la sua volontà: la notifica nei suoi confronti, infatti, è quantomai necessaria visto che, comunque, viene a subire gli effetti pregiudizievoli del sequestro e deve quindi essere messo in condizione di poter tutelare il proprio diritto33.
Il proprietario o, in sua assenza, il conducente del veicolo o altro soggetto coobbligato ex art. 196 c.d.s. viene nominato custode direttamente dall’agente accertatore ed invitato a provvedere all’immediato trasporto fino ad un luogo di cui abbia la libera disponibilità, anche non esclusiva34, ovvero, in mancanza, presso un luogo non sottoposto a pubblico passaggio, con rispetto del percorso esattamente indicato dall’organo accertatore (cfr. artt. 213 c. 2 c.d.s. e 394 c. 1 reg. att. c.d.s.)35.
Peraltro, allorché ostino ragioni di sicurezza della circolazione ovvero il mezzo sia privo del regolare contrassegno di assicurazione, l’agente accertatore non potrà consentire al custode di provvedere motu proprio all’immediato trasporto dovendo, al contrario, chiamare un automezzo di soccorso, ovviamente a cura e spese del custode.
Si nota subito come, disciplinando la nomina a custode e tutte le successive fasi, il c.d.s. faccia espresso riferimento al solo caso del sequestro di un veicolo: molte di tali disposizioni, peraltro, come logico, trovano applicazione anche quando oggetto del provvedimento cautelare è un altro tipo di bene.
La nomina a custode non è facoltativa ma obbligatoria, nel senso che l’organo accertatore deve procedere in tal senso ed il soggetto nominato deve accettare il munus conferito, pena l’applicazione delle sanzione che qui sotto esamineremo36: in particolare, non costituisce causa esimente l’eccezione, mossa dal nominato custode, di non disporre di un luogo di libera disponibilità, anche non esclusiva, per il ricovero del beni sequestrati posto che, comunque, può avvalersi di un locale o di un’area – come un’autorimessa et similia – seppur sostenendo il relativo onere economico37.
Non tutti, peraltro, possono essere nominati custodi in quanto è necessario che si tratti di persone maggiorenni ed in possesso dei requisiti di idoneità psico-fisica previsti dagli artt. 120 e 259 c.p.p.: pertanto, qualora l’infrazione che ha portato al sequestro viene contestata ad un conducente minorenne o comunque non in possesso dei requisiti per essere nominato custode (perché, ad esempio, ubriaco come una damigiana!), il veicolo deve essere immediatamente trasportato presso un luogo di ricovero a cura dell’agente accertatore il quale dovrà poi disporre la notifica del provvedimento al proprietario o agli altri soggetti coobbligati affinché, nel termine che fra poco andremo a vedere, ne richiedano la custodia sotto pena della perdita della proprietà; ovviamente, il trasgressore impossibilitato ad essere nominato custode non potrà incorrere nelle sanzioni previste dall’art. 213 c. 2-ter c.d.s..
Il rifiuto di cooperazione da parte dei soggetti tenuti alla custodia e conseguenze di tale rifiuto.
Qualora questi rifiutino di trasportare o di custodire a proprie spese il veicolo (art. 213 c. 2-ter c.d.s.), a parte l’applicazione di una pesante sanzione pecuniaria e della sospensione della patente, l’organo procedente fa menzione nel verbale di sequestro dei motivi che non ne hanno consentito l’affidamento in custodia e ne dispongono il trasporto presso uno dei luoghi di custodia individuati ai sensi dell’art. 214-bis c.d.s.: il tutto, ovviamente, ad onere esclusivo del privato, il quale si troverà poi a dover rimborsare all’U.T.G. le somme corrisposte per il trasporto e la custodia.
Le disposizioni di cui all’art. 394 c. 2 e 4 reg. att. c.d.s., in forza delle quali in caso di rifiuto il veicolo doveva essere trasferito:
presso il comando cui appartiene l’organo accertatore, con conseguente nomina a custode di uno degli appartenenti a tale comando;
ovvero presso i locali appartenenti ad uno dei soggetti, pubblici o privati, individuati sulla base di un elenco predisposto annualmente dal Prefetto competente (cfr. art. 394 c. 2 e 4 reg. att. c.d.s.), con nomina a custode del soggetto gestore;
non trovano più applicazione dal momento dell’entrata in vigore del D.L. 269/2003 che, modificando il testo dell’art. 213 c.d.s., ha fatto venire meno il rinvio alle disposizioni attuative.
Ma non è finita qui. Al fine di punire ancora più gravemente il rifiuto di cooperazione (sembra quasi che lo Stato sia mosso da vis vendicativa!), l’art. 213 c. 2-quater c.d.s. dispone che l’organo di polizia, in sede di verbale di sequestro, avvisi il “renitente” che la proprietà del veicolo passerà automaticamente al custode decorsi 10 giorni dalla mancata assunzione del munus. Questo termine decorre, per espressa previsione del legislatore, dal giorno della notificazione del verbale di sequestro, completo dell’avviso di cui sopra, al trasgressore “o ad uno dei soggetti indicati nell’articolo 196”; pertanto, è sufficiente la notifica anche solo ad uno dei coobbligati perché il proprietario del veicolo si trovi in condizione di perderne la proprietà qualora, entro 10 giorni, non si presenti per riceverne la custodia ovvero – sperando ovviamente di risultarne vittorioso – non presenti ricorso prefettizio o giurisdizionale38.
Qualora ciò non accada, decorso il termine di 10 giorni, l’organo accertatore trasmette gli atti al Prefetto affinché questi dichiari l’intervenuto passaggio di proprietà a favore del custode con conseguente cessazione di qualunque onere e spesa a carico dello Stato. Il custode provvede quindi, se possibile, all’alienazione del bene ed al deposito della somma ricavata presso la Tesoreria Provinciale dello Stato affinché venga vincolata a garanzia delle obbligazioni restitutorie derivanti dal sequestro e dell’esecuzione del successivo eventuale provvedimento di confisca, nel senso che, se questo verrà emesso, avrà ad oggetto non più il bene (ormai trasferito ad un terzo) ma la somma depositata; qualora, invece, la confisca non venga disposta, il proprietario avrà diritto – salvo il risarcimento dei danni patiti – alla restituzione di tale somma.
Il ricorso contro il provvedimento di sequestro.
Contro il provvedimento di sequestro – ossia contro il verbale con il quale viene notificato il sequestro – è ammesso ricorso al Prefetto nelle forme di cui all’art. 203 c.d.s., e, pertanto, entro il termine perentorio di 60 giorni decorrenti dalla contestazione immediata ovvero dalla notificazione; nondimeno, specie allorquando il trasgressore nonché i soggetti con esso coobbligati si siano rifiutati di accettare la custodia del veicolo, al fine di sospendere l’applicazione dell’art. 213 c. 2-quater c.d.s. (e pertanto il trasferimento della proprietà del bene a favore del custode nominato dall’organo di polizia) è necessario che il ricorso venga presentato prima della dichiarazione con cui il Prefetto dispone il trasferimento.
Nel caso in cui il sequestro contestuale all’accertamento dell’infrazione, il ricorso prefettizio presentato contro quest’ultima si estende automaticamente anche alla misura cautelare (a meno che, ovviamente, il ricorso non sia espressamente presentato solo contro quest’ultima), con la conseguenza che l’eventuale ordinanza di accoglimento comporta altresì il suo venir meno. Negli stessi identici casi, ex art. 204-bis c. 2 c.d.s., il ricorso giurisdizionale presentato avvero il verbale di accertamento si intende esteso automaticamente contro il sequestro.
La successiva fase della confisca.
Indipendentemente dall’accettazione o meno della nomina a custode e dell’eventuale passaggio in proprietà del bene a favore del custode nominato dall’organo di polizia, il Prefetto – riscontrando la presenza dei presupposti richiesti – dichiara con apposita ordinanza la confisca dei beni sequestrati.
Il provvedimento di confisca è, normalmente, la stessa ordinanza-ingiunzione con cui il Prefetto decide sul ricorso ex art. 203 c.d.s.. Nondimeno, in caso di mancata presentazione di questo ovvero, ancora, qualora il sequestro sia disposto in un momento successivo, la confisca viene disposta con una separata ordinanza.
Decorsi 30 giorni dall’emissione del provvedimento di confisca senza che questo sia stato opposto o, altrimenti, esauriti i ricorsi anche giurisdizionali contro tale provvedimento, il custode deve trasferire il veicolo presso uno dei centri di cui all’art. 214-bis c.d.s. (ovviamente nei casi in cui il veicolo già non si trovi presso di essi) con l’avvertenza che, in caso di inottemperanza, si procederà al trasferimento coattivo a spese del custode (cui verrà notificata la nota spese) ed alla sua denuncia ex art. 650 c.p..
L’ordinanza di confisca costituisce titolo esecutivo per il recupero delle spese di trasporto e di custodia del veicolo e viene annotata presso il P.R.A. ai sensi dell’art. 213 c. 7 c.d.s.. L’annotazione, ovviamente, non ha luogo allorché il veicolo sia stato già in precedenza venduto dal custode cui è stato trasferito in proprietà ai sensi dell’art. 213 c. 2-quater c.d.s. in quanto, in tal caso, la confisca ha ad oggetto le sole somme rinvenienti a seguito di tale alienazione.
Contro l’ordinanza di confisca è esperibile ricorso in opposizione al giudice, ai sensi del combinato disposto dell’art. 213 c. 3 c.d.s. e 22 L. 689/1981: a tal proposito, è utile sottolineare come, in mancanza di un espresso richiamo alle disposizioni di cui all’art. 205 c.d.s. (e, conseguentemente, all’art. 204-bis c. 2, 5, 6 e 7 c.d.s.), comporta che l’unica disciplina applicabile all’opposizione qui in esame sia quella contenuta nella L. 689/1981.
3.D) IL FERMO AMMINISTRATIVO DEL VEICOLO
(ART. 214 C.D.S.)
Natura giuridica del fermo amministrativo.
Altra sanzione accessoria è il fermo amministrativo, disciplinato dall’art. 214 c.d.s. e, per il caso in cui consegua al ritiro della targa o della carta di circolazione, anche dagli artt. 216 e 217.
A differenza della confisca, il fermo:
può avere ad oggetto unicamente i veicoli;
non ne produce la perdita della proprietà né, tantomeno, la perdita della disponibilità giuridica;
non determina inefficacia, nemmeno relativa, degli eventuali atti di cessione della proprietà o di costituzione di altri diritti reali o personali di godimento sul veicolo.
A differenza del sequestro, poi, non rappresenta in alcun modo una misura cautelare finalizzata all’applicazione di una sanzione accessoria ma, bensì, è esso stesso sanzione accessoria.
Esaminando più approfonditamente la natura giuridica del fermo amministrativo, dobbiamo concludere che questa può essere determinata solo alla luce dei suoi effetti: esso, infatti, comporta l’obbligo di immediata cessazione della circolazione nonché l’insorgere di un divieto di utilizzo del veicolo per un determinato periodo di tempo. Si può pertanto dire che consista in null’altro che in un divieto di utilizzo del bene o, meglio, in una limitazione (di stampo sanzionatorio) all’espressione di uno dei aspetti del diritto di proprietà.
Casi in cui la misura può essere adottata.
L’art. 214 c.1. c.d.s. prevede che il fermo debba essere ordinato in tutti i casi in cui sia espressamente previsto dalle disposizioni codicistiche: occorre, pertanto, una previsione puntuale affinché l’agente accertatore possa disporlo.
Nondimeno, l’art. 214 c. 7 c.d.s. lascia la “porta aperta”, per così dire, ad una applicazione più generalizzata dell’istituto, chiarendo che debba essere disposto in tutti i casi in cui, ai sensi del codice, è prevista la sospensione della carta di circolazione.39
Allo stesso modo, ex art. 216 c.1. c.d.s., la misura è obbligatoria in tutti i casi in cui sia disposto il ritiro della targa.
Ne risulta pertanto che il fermo disposto ai sensi del c.d.s., similmente alla confisca da questo disciplinata, è una misura obbligatoria.
Una forma di fermo amministrativo facoltativo è prevista dall’art. 86 d.P.R. 602/1973 in materia di riscossione coattiva delle imposte dirette: premesso che – come riconosciuto dalla giurisprudenza maggioritaria – questo tipo di “fermo” può essere operato dal concessionario per la riscossione unicamente per la realizzazione delle entrate tributarie (e non anche per quelle contributive, assicurative o previdenziali o, ancor peggio, patrimoniali40), sicuramente non si tratta di una sanzione accessoria ma, semmai, di una misura cautelare meramente interinale ed adottata in vista del futuro pignoramento41 preordinato all’esecuzione coattiva42 e, pertanto, non sarà oggetto del presente lavoro.
In ogni caso, più di un dubbio è stato mosso in ordine all’immediata applicabilità del fermo amministrativo ex art. 86 d.P.R. 602/1973 in carenza di una specifica norma regolamentare attuativa43.
La procedura per il fermo amministrativo.
Sia esso contestuale o successivo all’accertamento della violazione, del fermo e della nomina a custode viene fatta espressa menzione nel verbale di accertamento (art. 214 c. 3 c.d.s.).
A differenza della confisca, l’art. 214 c.d.s. non ripropone in modo espresso la subordinazione della misura al fatto che il veicolo “non appartenga a persone estranee alla violazione amministrativa” (nel senso già sopra esaminato): nondimeno, una simile interpretazione sembra obbligata, per lo meno nei casi in cui non sia conseguenza della violazione di una disposizione concernente la funzionalità del veicolo.
Proprio dalla necessità di un comportamento cosciente e volontario consegue che, seppur sia indicato tra i soggetti coobbligati solidali ex art. 196 c.d.s., il proprietario del veicolo, qualora la circolazione sia avvenuta contro la sua volontà e non possa essere raffigurata nei suoi confronti nemmeno una situazione di colpa (anche se lieve) per averla consentita, non può subire gli effetti del fermo amministrativo. Una simile conclusione è sposata dallo stesso c.d.s. dove dispone – ex art. 214 c. 1-bis – che il veicolo sia immediatamente restituito all’avente titolo allorché risulti che la conduzione sia avvenuta invito domino.
Il proprietario o, in sua assenza, il conducente del veicolo o altro soggetto coobbligato ex art. 196 c.d.s. viene nominato custode direttamente dall’agente accertatore – il quale provvederà a trattenerne i documenti di circolazione – e deve farne cessare immediatamente la circolazione disponendone la collocazione in un luogo di cui abbia la libera disponibilità, anche non esclusiva44, ovvero, in mancanza, presso un luogo non sottoposto a pubblico passaggio, e con il rispetto del percorso esattamente indicato dall’organo accertatore (cfr. artt. 214 c. 1 c.d.s., 394 c. 1 e 395 c. 1 reg. att. c.d.s.).
Peraltro, allorché ostino ragioni di sicurezza della circolazione, l’accertatore non potrà consentire al custode di provvedere motu proprio al trasporto ma, al contrario, dovrà richiedere l’intervento di un automezzo di soccorso, ovviamente a cura e spese del custode.
Come già visto in relazione al sequestro, la nomina a custode è – salvi i casi di esclusione già in precedenza esaminati - obbligatoria, pena l’applicazione delle sanzioni che tra poco vedremo e che non possono essere escluse dall’eccezione, mossa dal nominando custode, di non disporre di un luogo di libera disponibilità, anche non esclusiva, per il ricovero del veicolo posto che, comunque, può avvalersi di un locale o di un’area – come un’autorimessa et similia – seppur sostenendo il relativo onere economico45.
Il rifiuto di cooperazione da parte dei soggetti tenuti alla custodia e conseguenze di tale rifiuto.
Qualora questi rifiutino di trasportare o di custodire a proprie spese il veicolo (art. 214 c. 1 c.d.s.), oltre ad applicare una sanzione pecuniaria ed a disporre la sospensione della patente, l’organo procedente fa menzione nel verbale dei motivi che non ne hanno consentito l’affidamento e ne dispone la rimozione ed il conseguente trasporto presso uno dei luoghi individuati ai sensi dell’art. 214-bis c.d.s.: il tutto, ovviamente, ad onere esclusivo del privato, il quale dovrà poi rimborsare all’U.T.G. le somme corrisposte per il trasporto e la custodia.
Nel delirio punitivo il nostro legislatore ha per fortuna avuto un barlume di onestà e, disponendo l’applicazione anche al fermo della disciplina di cui all’art. 213 c. 2-quater c.d.s. solo nei limiti della sua compatibilità, ha chiuso le porte all’applicazione di quella particolare norma che comporta il passaggio della proprietà dei veicolo al custode nominato dall’ufficio procedente qualora, entro 10 giorni, il trasgressore o uno dei soggetti coobbligati non si presentino per rivendicarne la custodia46.
Il ricorso contro il provvedimento di fermo.
Avverso il provvedimento che dispone il fermo è ammesso ricorso al Prefetto nelle forme di cui all’art. 203 c.d.s. e, come sempre accade, qualora il ricorso venga presentato contro la sanzione pecuniaria, si intende de iure esteso anche alla sanzione amministrativa accessoria (cfr. art. 214 c. 5 c.d.s.) tanto è vero che al suo eventuale accoglimento consegue necessariamente la caducazione di quest’ultima e la restituzione del veicolo.
Contro l’ordinanza prefettizia è ammessa opposizione nanti il g.d.p. ai sensi dell’art. 205 c.d.s., con il rispetto delle consuete modalità procedimentali.
Inutile dire che, anziché passare prima per la via amministrativa, il trasgressore può adire direttamente il g.d.p. ai sensi dell’art. 204-bis c.d.s..
4.E) LA RIMOZIONE ED IL BLOCCO DEL VEICOLO
(ART. 215 C.D.S.)
Altre due sanzioni accessorie molto temute sono la rimozione ed il blocco dei veicoli, disciplinate dall’art. 215 c.d.s..
Della rimozione in particolare.
La rimozione - consistente nel trasporto coattivo del veicolo, disposto su ordine dell’organo accertatore, presso uno dei luoghi di custodia espressamente attrezzati o comunque indicati dall’ente proprietario della strada (cfr. art. 215 c. 1 c.d.s. e 397 c. 1 reg. att. c.d.s.) - può essere disposta nei soli casi espressamente previsti dall’art. 159 c. 1 e 5 c.d.s.: vi è da dire che, in alcune di tali ipotesi, la rimozione è di fatto rimessa alla discrezionalità dell’agente accertatore mentre, in altri casi, è qualificabile in termini di atto dovuto.
La rimozione è sempre vietata qualora (art. 354 c. 4 reg. att. c.d.s.) abbia ad oggetto veicoli:
destinati a servizi di polizia, anche privati;
ambulanze;
del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco;
di soccorso;
dei medici che si trovano in attività di servizio in situazione di emergenza;
degli invalidi, purché muniti di apposito contrassegno.
Allorché, nel corso delle operazioni di rimozione, sopraggiunga sul luogo del “misfatto” l’interessato, l’organo accertatore può disporre l’immediata restituzione del veicolo previo pagamento delle spese di intervento e rimozione all’incaricato del servizio, il quale è tenuto a rilasciarne apposita ricevuta (art. 397 c. 2 ultimo periodo c.d.s.); qualora, invece, ciò non avvenga, il trasporto deve essere effettuato mediante appositi autoveicoli (carri-attrezzi) in dotazione all’ente proprietario della strada ovvero a soggetti terzi ai quali il servizio47 sia stato concesso, per un periodo biennale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 159 c. 2 c.d.s. e 354 c.1 c.d.s..
Del provvedimento deve essere sempre fatta menzione nel verbale48 che deve essere notificato al proprietario: è scarsamente ricorrente nella pratica il caso della contestazione immediata posto che, allorché l'interessato sopraggiunga sul luogo e corrisponda il dovuto49, la rimozione viene interrotta; ma, anche qualora ciò non fosse, la notifica del verbale può, a mio giudizio, essere omessa nel solo caso in cui giunga sul luogo della rimozione il proprietario del veicolo (a condizione che non ne richieda la restituzione immediata in quanto altrimenti, come detto, non si fa luogo alla rimozione e venga nei suoi confronti operata la contestazione immedaita); viceversa, qualora sul luogo interviene un altro soggetto, è comunque necessario effettuare la notifica a favore del proprietario al fine di consentirgli di avere notizie del proprio veicolo.
La restituzione, quando non immediata, viene disposta - previa compilazione di un verbale, sottoscritto dal custode e dall’interessato50 o da un suo delegato (che deve espressamente dichiarare che il veicolo non ha subito danni né palesi né occulti a seguito della rimozione51) - a seguito del pagamento delle spese di intervento, trasporto e custodia determinate secondo le tabelle preparate ed annualmente aggiornate dall’ente proprietario della strada (cfr. artt. 215 c. 2 c.d.s. e 397 c. 4 reg. att. c.d.s.).
Del blocco (o “ceppatura”) in particolare.
Il blocco del veicolo consiste nell’apposizione, all’altezza delle ruote, di appositi orpelli metallici di colore giallo le cui caratteristiche devono essere conformi a quanto previsto, a tutela della sicurezza degli automobilisti e dei veicoli stessi, dall’art. 355 c. 1 reg. att. c.d.s..
Questa sanzione può essere disposta, dall’organo che accerta la violazione, negli stessi casi per i quali è prevista la rimozione, a condizione che la posizione irregolare del veicolo non “costituisca intralcio o pericolo alla circolazione”: in tale ultimo caso, l’organo accertatore non ha alcuna possibilità di optare per l’applicazione della sanzione di minore impatto e dovrà, per la gioia del trasgressore, disporre la rimozione del veicolo.
Anche il blocco è expressis verbis escluso qualora (art. 355 c. 5 reg. att. c.d.s.) abbia ad oggetto veicoli:
destinati a servizi di polizia, anche privati;
ambulanze;
dei Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco;
di soccorso;
dei medici che si trovano in attività di servizio in situazione di emergenza;
degli invalidi, purché muniti di apposito contrassegno.
La sanzione in esame è meno invasiva della precedente e, soprattutto, finanziariamente meno “pesante”, in quanto non comporta oneri di custodia (cfr. art. 159 c. 3 c.d.s.), anche se il trasgressore dovrà – al fine di poter nuovamente circolare – sostenere tutte le spese incontrate per l’intervento, il bloccaggio e la liberazione del veicolo determinate nel rispetto di tabelle preparate ed annualmente aggiornate dall’ente proprietario della strada.
Al servizio di “ceppatura” provvede direttamente l’organo di polizia che accerta la violazione a mezzo di personale specializzato che può o appartenere agli stessi ruoli di personale cui appartiene l’organo accertatore (tipico caso è l’Agente di Polizia Municipale che, disposto il blocco, ordina agli operai del Comune di applicare gli appositi strumenti ai mozzi delle ruote del veicolo oggetto della misura) ovvero ad apposita società appaltatrice dell’ente proprietario della strada.
Proprio in relazione all’affidamento all’esterno del servizio di “ceppatura”, giova notare come non siano ad esso direttamente applicabili le disposizioni di cui agli artt. 159 c. 2 c.d.s. e 354 c. 1 reg. att. c.d.s. in quanto la loro applicazione è limitata al servizio di rimozione. Ciò, ovviamente, non significa che l’ente proprietario possa agire in piena libertà ed affidare il servizio a chi vuole: trattandosi pur sempre di appalto pubblico di servizi, infatti, dovrà rispettare le disposizioni in materia di appalti pubblici e, se si tratta di affidamenti di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario, applicare il D. Lgs. 157/1995.
Tutela accordata al cittadino contro i provvedimenti di rimozione e di blocco.
Contro il verbale che dispone l’applicazione della sanzione pecuniaria, e la conseguente rimozione o blocco, è possibile, come sempre, presentare ricorso al Prefetto ex art. 203 c.d.s. o ricorso diretto al g.d.p. ex art. 204-bis c.d.s.; in entrambi i casi, in virtù dell’effetto estensivo, la doglianza comprende automaticamente anche la sanzione accessoria, con la conseguenza che, in caso di accoglimento, il veicolo deve essere restituito al legittimo proprietario i quale, anzi, potrà richiedere (qualora già non lo abbia fatto in sede di ricorso ex art. 204-bis c.d.s.) il risarcimento del danno patito, sia a titolo di danno emergente sia di lucro cessante, a causa dell’impossibilità di utilizzo del veicolo.
Entrambe le tutele giurisdizionali sopra viste sono peraltro esperibili anche nei confronti del solo provvedimento con il quale viene disposta la rimozione ovvero il blocco del vicolo (cfr. art. 215 c. 5 c.d.s.).
Come d’uso, contro l’ordinanza-ingiunzione con la quale il Prefetto, rigettando il ricorso, conferma la sanzione pecuniaria nonché quella accessoria è ammesso ricorso in opposizione ex art. 205 c.d.s.. Tale ricorso può avere ad oggetto anche i soli capi del provvedimento prefettizio relativi alla liquidazione delle spese di intervento, rimozione e custodia.
Mancata rivendica del veicolo.
Le sanzioni qui in esame non determinano conseguenze sulla posizione giuridica del veicolo, che continua a restare nella dominicalità del proprietario. L’art. 215 c. 4 c.d.s., peraltro, al fine di scoraggiare il comportamento di quei soggetti che tardano a rivendicarlo, dispone che, “trascorsi 180 giorni dalla notifica del verbale contenente la contestazione della violazione e l’indicazione dell’effettuata rimozione o blocco”, l’organo che ha disposto la misura dispone la demolizione o la vendita del mezzo; in tale caso, quanto ricavato dall’alienazione viene prioritariamente impiegato per il pagamento della sanzione pecuniaria nonché delle spese di intervento, rimozione, blocco e custodia, salva restituzione dell’eventuale residuo a favore del proprietario.
4.F) IL RITIRO DEI DOCUMENTI DI CIRCOLAZIONE, DELLA TARGA O DELLA PATENTE DI GUIDA (ART. 216 C.D.S.)
Altra sanzione accessoria è costituita dal ritiro di taluni “documenti” - esaustivamente elencati dall’art. 216 c.d.s. - aventi quale tratto comune quello di rendere legittima la circolazione del veicolo (autorizzazioni reali) ovvero la conduzione (autorizzazioni personali).
In particolare, i “documenti” suscettibili di ritiro sono, nei soli casi expressis verbis previsti dal c.d.s.:
la carta di circolazione, il certificato di idoneità tecnica per le macchine agricole ovvero le altre autorizzazioni o licenze nei casi in cui siano previste;
la targa;
la patente di guida.
A differenza del sequestro finalizzato alla confisca – che, come abbiamo in precedenza visto, può anche essere disposto in un momento successivo all’accertamento dell’infrazione (come normalmente accade allorché l’agente accertatore necessiti di un certo tempo per controllare la presenza di tutti i presupposti necessari per l’emanazione del provvedimento) – il ritiro dei “documenti” deve essere disposto “contestualmente” all’accertamento della violazione (art. 216 c. 1 c.d.s.): l’avverbio utilizzato (“contestualmente”) fuga ogni dubbio in ordine all’impossibilità di disporre il ritiro con un provvedimento separato e successivo all’accertamento; ciò è anche confermato dal fatto che lo stesso art. 216 c. 1 c.d.s. espressamente prevede che “del ritiro è fatta menzione nel verbale di contestazione della violazione”.
Le conseguenze immediate del ritiro.
Ma quali sono le conseguenze immediate del ritiro dei “documenti”?
Il legislatore, cercando di non calcare troppo la mano sullo sventurato utente della strada, ha previsto in modo espresso (art. 216 c. 1 c.d.s. e 399 c. 1 reg. att. c.d.s.) l’obbligo, per l’agente accertatore, di consentire che il veicolo sia condotto in un luogo di deposito o di custodia indicato dall’avente diritto o dal conducente e, proprio a tal fine, rilascia un permesso provvisorio – del quale deve fare obbligatoriamente menzione sul verbale di accertamento - limitato al periodo di tempo strettamente necessario a raggiungere, immediatamente52 e per la via più breve, detto luogo.
Si noti come il legislatore non richiede, come invece fa per il sequestro o il fermo amministrativo, che il luogo di deposito o custodia rientri nella disponibilità giuridica ovvero non sia soggetto a pubblico passaggio. Come interpretare questo silenzio? E’ indice di una reale volontà di disciplinare in modo differente le due situazioni ovvero può essere considerato null’altro che un mero lapsus calami?
La soluzione è agevole interpretando l’art. 216 c.d.s. alla luce della disposizione attuativa di cui all’art. 399 reg. att. c.d.s., laddove è previsto che “ove l’avente diritto o il conducente non abbiano un luogo da indicare, l’organo accertatore procede alla custodia del veicolo applicando, in quanto compatibili, le norme di cui all’art. 394 [reg. att. c.d.s.]”. Ora, premesso che tale ultimo riferimento normativo deve ora intendersi operato agli artt. 213 c. 2-quater e 214-bis c.d.s. (sempre in quanto applicabili), risulta chiaro come la previsione della possibilità che i soggetti sopra indicati “non abbiano un luogo da indicare” sarebbe un mero flatus vocis qualora questi non fossero tenuti ad indicare un luogo con le caratteristiche di cui all’art. 213 c. 1 c.d.s.. Ancora, a maggior dimostrazione di tale conclusione, giova notare come questi soggetti siano nominati dall’organo accertatore – che ne dovrà fare espressa menzione in sede di verbale – custodi del veicolo; e pare sinceramente improbabile che gli obblighi connessi alla custodia possano essere adeguatamente ottemperati semplicemente lasciando il veicolo esposto su di un’area pubblica (specie se si considera il fatto che, per il c.d.s., la sosta è una fase della circolazione).
Pertanto, qualora l’avente diritto o il trasgressore “non abbiano un luogo da indicare”, l’organo accertatore dispone ai sensi degli artt. 213 c. 2-quater e 214-bis c.d.s., ossia affidandone la custodia ad un soggetto appositamente autorizzato.
I primi adempimenti burocratici successivi al ritiro e la restituzione del “documento”.
Una volta ritirato, il “documento” deve essere inviato dall’agente accertatore, nei cinque giorni successivi:
qualora si tratti della patente di guida, al Prefetto competente in ragione del luogo della commessa violazione, il quale, a sua volta, dovrà darne notizia, unitamente al provvedimento conclusivo adottato, al Prefetto competente per il luogo di residenza del trasgressore;
qualora si tratta di un altro dei documenti sopra indicati ovvero della targa, all’ufficio del Dipartimento per i Trasporti Terrestri competente sempre in ragione del luogo della commessa violazione.
A differenza della revoca – peraltro avente ad oggetto solo la patente di guida – o della sospensione, il ritiro è misura per sua stessa natura provvisoria, anche se tale limitatezza temporale, sempre certa nell’an, è per definizione incerta nel quando: l’art. 216 c. 2 c.d.s., infatti prevede che il “documento” possa essere restituito dagli enti sopra indicati, previa richiesta dell’interessato, solo a seguito dell’adempimento della prescrizione omessa. La restituzione pertanto costituisce, ricorrendone i presupposti (l’adempimento delle prescrizioni omesse), un diritto soggettivo perfetto che insuscettibile di essere ulteriormente conculcato dall’Amministrazione.
Qualora la sanzione abbia avuto ad oggetto:
la carta di circolazione, il certificato di idoneità tecnica per le macchine agricole ovvero le altre autorizzazioni o licenze nei casi in cui siano previste;
la patente di guida;
su di essi viene fatta annotazione del ritiro e della successiva restituzione.
Strumenti di tutela contro il ritiro del “documento”.
Come sempre, contro il verbale con cui viene irrogata la sanzione pecuaniaria è immediatamente esperibile:
il ricorso prefettizio ex art. 203 c.d.s., la cui valenza è estesa ipso iure anche alla sanzione accessoria ed il cui accoglimento comporta, unitamente all’archiviazione degli atti, l’obbligo per la Pubblica Amministrazione di restituire i documenti ritirati, salvo risarcimento dei danni cagionati da richiedere previo esperimento di apposita azione giudiziaria;
il ricorso diretto al g.d.p. ex art. 204-bis c.d.s., anch’esso da intendersi esteso ex lege anche alla sanzione accessoria;
il ricorso in opposizione al giudice (nel caso di specie, il g.d.p.), proponibile, ex art. 205 c.d.s., contro l’ordinanza-ingiunzione con la quale il Prefetto ha deciso, ovviamente in modo negativo, il ricorso presentato.
Anche in questo caso, l’azione comprende automaticamente anche alla sanzione accessoria (cfr. art. 216 c. 5 c.d.s.).
4.G) LA SOSPENSIONE DELLA CARTA DI CIRCOLAZIONE (ART. 217 C.D.S.)
Simile al ritiro, è la sospensione della carta di circolazione, sanzione che, necessariamente, contiene anche la prima – visto che il documento, ex all’art. 217 c. 1 c.d.s., “è ritirato dall’agente o dall’organo di polizia che accerta la violazione”.
A differenza del semplice ritiro, la cui durata non è predeterminata dal codice in quanto collegata alla dimostrazione, da parte del soggetto interessato, dell’adempimento dell’obbligo omesso, la durata della sospensione è rigidamente predeterminata in misura diversa a seconda della violazione commessa.
Ancora, a differenza del ritiro, la sospensione – applicabile solo se expressis verbis prevista - può avere ad oggetto unicamente:
la carta di circolazione;
la patente di guida (art. 218 c.d.s.);
con esclusione, pertanto, degli altri “documenti” elencati dall’art. 216 c.d.s..
La contestualità del ritiro.
A differenza di quanto visto esaminando l’ art. 216 c.d.s., per il ritiro funzionalizzato alla sospensione della carta di circolazione non è espressamente richiesta la contestualità rispetto all’accertamento dell’infrazione: il c.d.s., infatti, molto più semplicemente si limita a prevedere il rilascio al trasgressore, da parte dell’agente accertatore, di un permesso provvisorio di circolazione volto a consentire la riconduzione del veicolo in uno dei luoghi di custodia che, fra poco, andremo ad esaminare.
A mio avviso, il silenzio serbato sulla “contestualità” deve essere inteso come possibilità che il “ritiro funzionalizzato” sia disposto anche in un momento successivo rispetto all’accertamento.
Le conseguenze immediate del ritiro.
Come visto, l’agente accertatore, al momento del ritiro della carta di circolazione, deve rilasciare al trasgressore un permesso provvisorio volto a consentire il trasporto del veicolo presso il luogo di deposito o custodia indicato dall’avente diritto o dal conducente, tanto è vero che la sua durata è limitata “al periodo di tempo necessario” a tal fine.
Del ritiro e dell’autorizzazione provvisoria deve essere fatta espressa indicazione nel verbale (cfr. art. 217 c. 1 c.d.s.)
Anche in questo caso, il legislatore non richiede che il luogo di deposito o custodia rientri nella disponibilità giuridica del trasgressore o di uno dei soggetti con esso solidalmente coobbliati ovvero non sia soggetto a pubblico passaggio; nondimeno, tornano applicabili le conclusioni cui già si è giunti per il caso del ritiro dei documenti ex art. 216 c.d.s..
I primi adempimenti burocratici successivi al ritiro e la restituzione della carta di circolazione.
Una volta ritirata, la carta di circolazione viene inviata, unitamente a copia del verbale di accertamento, nei cinque giorni successivi, all’ufficio del Dipartimento per i Trasporti Terrestri competente in ragione del luogo della commessa violazione che, nei successivi 15 giorni, emette l’ordinanza di sospensione (cfr. art. 217 c. 2 c.d.s.).
Dal semplice esame della struttura procedimentale sopra esaminata si vede subito che il ritiro della carta di circolazione è, in questo caso, una misura assolutamente interinale funzionalizzata all’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento ad opera di un soggetto diverso: l’ufficio del Dipartimento per i Trasporti Terrestri territorialmente competente53.
L’ordinanza di sospensione indica in modo espresso la durata della sospensione dell’efficacia autorizzativa del documento. La concreta determinazione di tale periodo viene operata, seppur nel rispetto dei minimi e massimi previsti dalle singole disposizioni di legge, in considerazione:
della gravità della violazione commessa;
dell’entità del danno;
del pericolo che l’ulteriore circolazione potrebbe apportare alla sicurezza pubblica.
E’ da ritenere che (similmente a quanto espressamente previsto per la patente di guida) il periodo di sospensione decorra non dal momento dell’adozione o della notifica del provvedimento della Dipartimento per i Trasporti Terrestri, ma dal (precedente) momento del ritiro del documento.
Qual’è il valore dei termini prescritti per l’ìnvio del documento all’ufficio competente e per l’emanazione del provvedimento di sospensione? Sicuramente, il secondo di detti termini ha carattere perentorio: altrimenti, infatti, non si spiegherebbe la ragione per la quale l’art. 217 c. 2 c.d.s. abbia previsto il diritto del titolare di ottenere la restituzione della carta di circolazione ritirata qualora l’ordinanza di sospensione non sia stata emanata nel termine di 15 giorni prescritto dalla norma54.
Nulla è invece prescritto in relazione al termine di 5 giorni previsto per l’invio del documento ritirato, unitamente al verbale di accertamento, all’ufficio competente per l’emissione del provvedimento finale anche se non si può non concludere per la perentorietà anche di tale termine: argomentando a contrario, infatti, la carta di circolazione potrebbe essere trattenuta sine die presso il comando o l’ente di cui fa parte l’agente accertatore: non vi è ovviamente chi non veda la mostruosità di una simile interpretazione.
La restituzione della carta di circolazione è operata, ai sensi dell’art. 217 c. 3 c.d.s., ex officio al termine del periodo di sospensione, senza che sia necessaria la presentazione di apposita istanza da parte del soggetto interessato, anche in assenza di una specifica richiesta in tal senso da parte dell’interessato. Della restituzione viene data notizia al Prefetto ed all’ufficio del P.R.A. territorialmente competente ai fini dell’iscrizione dei registri pubblici.
Strumenti di tutela contro il ritiro della carta di circolazione.
Contro il verbale con cui viene irrogata la sanzione pecuniaria è immediatamente esperibile:
il ricorso prefettizio ex art. 203 c.d.s., automaticamente esteso anche al ritiro finalizzato alla sospensione, il cui accoglimento determina l’archiviazione degli atti e l’obbligo per la Pubblica Amministrazione di restituire immediatamente al ricorrente la carta di circolazione, salvo suo diritto di agire giudizialmente per il risarcimento dei danni patiti;
il ricorso diretto al g.d.p. ex art. 204-bis c.d.s., anch’esso esteso ex lege anche alla sanzione accessoria;
il ricorso in opposizione al giudice (nel caso di specie, il g.d.p.), proponibile, ex art. 205 c.d.s., contro l’ordinanza-ingiunzione con la quale il Prefetto ha deciso il ricorso presentato.
Anche in questo caso, il ricorso presentato si intende automaticamente esteso anche alla sanzione accessoria (cfr. art. 216 c. 5 c.d.s.).
Ovviamente, l’interessato resta libero di non presentare ricorso contro il verbale di accertamento ma di attendere l’adozione dell’ordinanza di sospensione per poi presentare opposizione giudiziale, questa volta secondo la procedura di cui agli artt. 22 e 22-bis L. 689/1981.
4.H) LA SOSPENSIONE DELLA PATENTE DI GUIDA
(ART. 218 C.D.S.)
Similare alla precedente è la sospensione della patente di guida, la cui disciplina (art. 218 c.d.s.) ricalca in modo quasi speculare quella appena esaminata salve le seguenti eccezioni:
fermo restando che il termine previsto per l’invio del documento, insieme al verbale di accertamento, da parte dell’agente accertatore è sempre stabilito in 5 giorni, organo competente all’emanazione, entro il termine dei 15 giorni successivi, del provvedimento di sospensione è il Prefetto del luogo di commessa violazione;
è espressamente previsto l’obbligo di notificare immediatamente il provvedimento di sospensione al titolare del documento e di comunicarlo al competente ufficio del Dipartimento per i Trasporti Terrestri (cfr. art. 218 c. 2 c.d.s.);
4.I) LA REVOCA DELLA PATENTE DI GUIDA (ART. 219 C.D.S.)
Ultima delle sanzioni accessorie disciplinate dal c.d.s. è la revoca della patente di guida.
E’ importante fin da subito chiarire un dubbio che ha attanagliato la dottrina per un po’ di tempo. L’art. 120 c.d.s. disciplina l’istituto della revoca della patente di guida nei confronti dei “delinquenti abituali, professionali o per tendenza ed a coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla L. 27 dicembre 1956 n. 1423, come sostituita dalla L. 3 agosto 1988, n. 327, e dalla L 31 maggio 1965, n. 575, così come successivamente modificata ed integrata, fatti salvi gli effetti riabilitativi, nonché alle persone condannate a pena detentiva non inferiore a 3 anni55, qualora l’utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione dei reati della stessa natura”: ebbene, in tutti questi casi, la revoca, che viene pur sempre disposta dal Prefetto, non può essere considerata una sanzione amministrativa accessoria alla violazione di una disposizione del c.d.s. per il semplice fatto che non è collegata ad alcuna infrazione codicistica ma è, semmai, una conseguenza della perdita dei requisiti morali richiesti per il rilascio della patante di guida.
La giurisprudenza è ormai ferma su tale ricostruzione, tanto che devolve alla giurisdizione amministrativa la conoscenza delle questioni relative alla legittimità del provvedimento di revoca56.
Allo stesso identico modo, non può essere considerata una misura accessoria la revoca della patente di guida disposta dal competente ufficio del Dipartimento per i Trasporti Terrestri ex artt. 130 e 219 c. 1 c.d.s., posto che, in questo caso, il provvedimento consegue alla perdita dei requisiti psico-fisici richiesti per la titolarità del documento.
Di vera e propria sanzione accessoria, pertanto, potrà parlarsi nei soli casi in cui la revoca della patente sia prevista quale conseguenza della violazione di una disposizione “comportamentale” del c.d.s., come, ad esempio, nei confronti di coloro i quali partecipino a gare di velocità su strada non autorizzate, nel caso in cui ne siano derivate lesioni gravi o gravissime ovvero la morte di alcuno (cfr. art. 9-bis c. 5 c.d.s.).
Solo così, infatti, acquista un senso l’inciso dell’art. 219 c. 2 c.d.s. che limita l’applicazione della disciplina procedimentale prevista dal medesimo articolo ai soli casi in cui “la revoca della patente costituisca sanzione accessoria”: in tali ipotesi, è infatti previsto che l’organo accertatore nell’immediatezza del fatto ovvero l’ufficio o il comando dal quale dipende, riscontrata la presenza dei presupposti di legge, ne dà notizia entro i 5 giorni successivi al Prefetto del luogo della commessa violazione.
Questi, previo l’accertamento (con procedura de plano e, pertanto, inaudita altera parte), emette apposita ordinanza – che deve essere notificata immediatamente nelle forme di legge e comunicata al competente ufficio del Dipartimento per i Trasporti Terrestri - con la quale dispone la revoca della patente e ne ingiunge al titolare l’immediata consegna, anche a mezzo dell’organo di Polizia incaricato dell’esecuzione.
Contro l’ordinanza de quo è ammesso il ricorso in opposizione ex art. 205 c.d.s..
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1 “Qualora alla sentenza di patteggiamento consegua di diritto la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, il giudice, nel determinarne la durata, deve far riferimento alla gravità della violazione commessa, all'entità del danno apportato ed al pericolo che l'ulteriore circolazione potrebbe cagionare, secondo i criteri fissati in via generale dal comma 2 dell'art. 218 c.d.s., e cioè deve avvalersi del criterio predeterminato in generale per l'autorità amministrativa (il Prefetto) che disponga la sospensione della patente” (Cass. Penale, Sezioni Unite, 27 maggio 1998, n. 8488, Bosio, in Arch. nuova proc. pen. I).
2 “In tema di sanzioni amministrative, la mancata indicazione, nel verbale di accertamento della violazione, dell'ufficio presso il quale può essere eseguito il pagamento in misura ridotta, ai sensi dell'art. 16 l. 24 novembre 1981 n. 689, comporta lo spostamento dell'inizio della decorrenza del termine fino al momento in cui l'interessato ha avuto conoscenza dello ufficio amministrativo destinatario del pagamento” (Corte Cass., Sezione I, 9 gennaio 1997, n. 117, Soc. Veneta scavi c. Provincia di Verona, in Giust. civ. Mass. 1997, 22).
3 A tal proposito, qualora sia stato effettuato, nei termini di legge, un pagamento in via breve inferiore rispetto al minimo edittale della sanzione, trova applicazione la disposizione di cui all’art. 389 disp. att. c.d.s., con la conseguenza che l’infrazione non deve considerarsi estinta e che, pertanto, il verbale assumerà valore di titolo esecutivo per un importo pari alla metà del massimo edittale della sanzione oltre alle spese di procedimento; ovviamente, quanto pagato deve essere portato in detrazione dal debito complessivo.
L’applicazione dell’art. 389 disp. att. c.d.s., peraltro, ha anche un altro effetto: se, infatti, l’oblazione deve considerarsi come tamquam non esset, il trasgressore ovvero ciascuno dei soggetti con esso coobbligati non decadono dal diritto di proporre ricorso – nel termine di legge – al Prefetto ovvero al g.d.p..
In ogni caso, vi è da dire che parte della più recente giurisprudenza tende ad escludere l’applicazione della draconiana previsione di cui al citato art. 389 disp. att. c.d.s. allorché il pagamento risulti essere carente delle somme dovute a titolo di rimborso spese di notifica.
“L'omesso o ritardato pagamento delle sole spese postali da parte di chi avendo commesso infrazione al codice della strada abbia provveduto a pagare detta sanzione in misura ridotta mediante bollettino di c.c. postale, non configura un'ipotesi di pagamento in misura inferiore di cui all'art. 389, comma 2, reg. nuovo del codice della strada, con gli effetti previsti dall'art. 203, comma 3, nuovo codice della strada, ovvero il pagamento della metà del massimo della sanzione edittale” (Giudice di pace Lugo, 19 giugno 2002, Vertuani c. Comune di Lugo e altro, in Arch. giur. circol. e sinistri 2002, 672).
4 “In materia di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni al codice della strada il ricorso al prefetto avverso il verbale di accertamento dell'infrazione al codice della strada - secondo l'interpretazione adeguatrice dell'art. 142 bis, comma 1, d.P.R. n. 393 del 1959 (previgente cod. strad.), nel testo di cui all'art. 24 l. 24 marzo 1989 n. 122 (ed ora dall'art. 203, comma 3, d.lg. 30 aprile 1992 n. 285 nuovo cod. strad.) prescritta dalla Corte cost. (sentenze n. 255 e 311 del 1994, ordinanza n. 315 e sentenza n. 437 del 1995) - non costituisce presupposto processuale per poter adire il giudice ordinario e quindi il previo esperimento di tale ricorso amministrativo è meramente facoltativo, potendo l'interessato rivolgersi al giudice indipendentemente da esso” (Corte Cass., Sezioni Unite, 1 luglio 1997, n. 5897, Pref. Pordenone c. Cartelli, in Giust. civ. Mass. 1997, 1110).
5 “In tema di esecuzione forzata delle sanzioni amministrative, l'esigenza di dare alla norma di cui all'art. 17 della legge n. 689 del 1981 un'interpretazione conforme alla Costituzione comporta che, con specifico riferimento alle violazioni del codice della strada, qualora non sia possibile il pagamento della sanzione in misura ridotta ex art. 202 c.d.s. (come nel caso di violazione dell'art. 192 stesso codice), la mancata proposizione del ricorso amministrativo da parte del contravventore non produce, ipso facto, la formazione del titolo esecutivo, con conseguente diritto dell'amministrazione a procedere secondo le modalità di cui al ricordato art. 27, dovendo, per converso, essere emanata l'ordinanza - ingiunzione nel termine previsto dall'art. 204 c.d.s., decorrente dalla scadenza del termine per la proposizione del ricorso amministrativo ai sensi del precedente art. 203” (Corte Cass., Sezione I, 13 marzo 2003, n. 3715, Prefettura di Brescia c. Salvatoni, in Giust. civ. Mass. 2003, 514).
6 “In tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme del codice della strada, è inammissibile il rimedio dell'opposizione di cui alla legge n. 689 del 1981 avverso il mero preavviso di contravvenzione (solitamente apposto sul parabrezza del veicolo del trasgressore), che è atto prodromico all'ordinanza - ingiunzione e non può essere equiparato nè al verbale di contestazione immediata, nè al verbale di accertamento notificato al trasgressore, in quanto, a differenza di essi, atto non idoneo - se non impugnato - a costituire titolo esecutivo ai sensi dell'art. 203, comma 3, c.d.s.” (Corte Cass., Sezione I, 24 marzo 2004, n. 5875, Comune di Cesena c. Ceccaroni, in Giust. civ. Mass. 2004, f. 3).
7 “In tema di violazioni al codice della strada, l'art. 203 c.d.s., nel prevedere la trasmissione degli atti al prefetto per i provvedimenti di sua competenza da parte dell'ufficio accertatore
8 “In tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme sulla circolazione stradale, il rispetto, da parte del Prefetto, del termine complessivo di novanta giorni, risultante dal combinato disposto degli art. 204, comma 1, e 203, comma 2, c.d.s. e decorrente dalla data della presentazione del ricorso o da quella della sua spedizione postale (data in cui si considera presentato il ricorso ai sensi dell'art. 388 del regolamento al c. strad.), per l'emissione dell'ordinanza motivata di pagamento o di archiviazione, costituisce requisito di legittimità della fattispecie tipica prefigurata dalla legge per la conclusione del relativo procedimento sanzionatorio amministrativo, con la conseguente annullabilità per violazione di legge dell'ordinanza - ingiunzione tardivamente emessa, suscettibile, tuttavia, di divenire inoppugnabile se non impugnata dall'interessato in sede giudiziaria entro i termini previsti dalla legge, deducendo espressamente il vizio di legittimità costituito dalla tardiva emissione. L'invalidità del provvedimento tardivo deriva infatti dai principi posti dalla l. n. 241 del 1990 (in diretta attuazione del principio di buona amministrazione posto dall'art. 97, comma 1, cost.), ed in particolare dall'art. 2, dal quale può desumersi la regola generale secondo la quale, nell'ipotesi in cui il procedimento consegua direttamente ad una istanza, e per esso la legge determini il termine in cui deve concludersi, la p.a. ha il dovere di concluderlo, mediante l'adozione di un provvedimento espresso, entro il termine previsto dalla legge” (Corte Cass., Sezione III, 27 luglio 2000, n. 9889, Prefettura di Cosenza c. Calabrese, in Giust. civ. Mass. 2000, 1644).
In senso pienamente conforme: Corte Cass., Sezione III, 20 giugno 2000, n. 8356, Ferroni c. Prefettura di Ferrara, in Giust. civ. Mass. 2000, 1340.
9 “In tema di sanzioni amministrative, il prefetto è tenuto alla decisione sul ricorso presentato dal privato, cui sia stata contestata una violazione del c. strad., o mediante l'emissione di un'ordinanza-ingiunzione (previa reiezione, implicita od esplicita, del ricorso medesimo) ovvero di un'ordinanza di archiviazione (previo accoglimento, implicito od esplicito, del detto ricorso) entro il termine massimo di novanta giorni, decorrenti dalla data di presentazione del ricorso - ovvero da quella della sua spedizione postale -, dovendosi aggiungere al termine di sessanta giorni assegnato al detto organo per le eventuali istruzioni integrative ed audizioni degli interessati quello, ulteriore, di trenta giorni, assegnato all'ufficio o comando cui appartiene l'organo accertatore ai fini dell'istruttoria preliminare, giusto disposto degli art. 203-204 c.d.s., senza che possano assumere rilevanza (se non meramente "interna") l'ampliamento o la restrizione "di fatto" dei termini rispettivamente assegnati ai ricordati organi del procedimento sanzionatorio amministrativo. Detto termine, cui non può legittimamente attribuirsi natura nè "perentoria", nè "ordinatoria" (sia perché tali categorie si riferiscono al procedimento giurisdizionale e non a quello amministrativo, sia perché, da un canto, non potrebbe legittimamente qualificarsi "ordinatorio" - e, cioè, prorogabile - un termine per il quale la legge non individua il soggetto cui è attribuito il relativo potere, dall'altro, la legge stessa non dichiara espressamente "perentorio" il termine in questione), va correttamente qualificato, "quoad effectum", secondo i principi contenuti nella l. n. 241 del 1990, con la conseguenza che, emesso intempestivamente il relativo provvedimento, questo risulterà affetto da violazione di legge e, pertanto, invalido ed annullabile, suscettibile, cioè, di divenire inoppugnabile solo in mancanza di impugnativa da parte dell'interessato, nelle forme e nei termini stabiliti dalla legge” (Corte Cass., Sezione I, 25 febbraio 1998, n. 2064, Prefettura di Bergamo c. Società Arca Autotrasporto, in Giust. civ. Mass. 1998, 432).
10 Corte Cass., Sezione I, 21 luglio 2004, n. 13505.
11 “Il termine, concesso al prefetto dall'art. 204, comma 1, del nuovo c.d.s., per l'emissione dell'ordinanza-ingiunzione, irrogativa di una sanzione pecuniaria, decorre dal momento nel quale il prefetto abbia ricevuto, dall'ufficio o dal comando, al quale appartiene l'organo accertatore della violazione - ed al quale, ai sensi dell'art. 203 dello stesso codice, sia stato presentato il ricorso indirizzato al prefetto stesso- , la trasmissione del ricorso e degli atti relativi, unitamente ad ogni altro elemento utile alla decisione sullo stesso, ma, qualora nel successivo giudizio di opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione l'opponente non provi - incombendo all'uopo su di lui il relativo onere - che quella ricezione è avvenuta prima del decorso del termine di trenta giorni dal deposito del ricorso al prefetto, previsto per la detta trasmissione a carico dell'ufficio o del comando medesimi, il suddetto termine ex art. 204 si deve considerare decorrente dalla scadenza di quei trenta giorni, con la conseguenza che l'emissione dell'ordinanza-ingiunzione prefettizia deve reputarsi tempestiva se avvenuta entro novanta giorni dalla presentazione del ricorso stesso” (Corte Cass., Sezione I, 27 aprile 1999, n. 4204, Di Gioia c. Prefettura di Foggia, in Giust. civ. Mass. 1999, 952).
12 “Il rispetto da parte della p.a. del termine previsto dall'art. 204, comma 1, c.d.s., per l'emissione dell'ordinanza-ingiunzione di pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria per violazione dei precetti di detto codice, costituisce un requisito di validità del provvedimento, la cui inosservanza ne determina l'annullamento, se sia stata dedotta con l'opposizione, senza che la questione relativa alla sua asserita invalidità possa, per la prima volta, dedursi in sede di giudizio di cassazione, ivi operando la preclusione concernente le questioni che non abbiano formato oggetto dell'opposizione” (Corte Cass., Sezione I, 10 settembre 2003, n. 13220, Martin c. Presidenza della Valle d'Aosta, in Giust. civ. Mass. 2003, f. 9).
13 Corte Cost., 18 marzo 2004, n. 98
14 “Non è fondata, in riferimento agli art. 3 e 24 cost., la q.l.c. del combinato disposto degli art. 139 e 148 c.p.c., nella parte in cui prevede che le notificazioni si perfezionino, per il notificante, alla data di perfezionamento delle formalità di notifica poste in essere dall'ufficiale giudiziario e da questi attestate nella relazione di notificazione, anziché alla data, antecedente, di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario. Per effetto della sentenza n. 477 del 2002, risulta ormai presente nell'ordinamento processuale civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il principio secondo il quale il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il notificante deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario, pur restando fermo che la produzione degli effetti che alla notificazione stessa sono ricollegati è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario e che, ove a favore o a carico di costui la legge preveda termini o adempimenti o comunque conseguenze decorrenti dalla notificazione, gli stessi debbano comunque calcolarsi o correlarsi al momento in cui la notifica si perfeziona nei suoi confronti, sicché, le norme censurate vanno interpretate nel senso che la notificazione si perfeziona nei confronti del notificante al momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario” (Corte Cost, 23 gennaio 2004, n. 28, Trezzi e altro c. Versetti e altro, in Giur. cost. 2004, f. 1.
“È costituzionalmente illegittimo il combinato disposto dell'art. 149 c.p.c. e dell'art. 4 comma 3 l. 20 novembre 1982 n. 890, nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell'atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario. È, infatti, palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di un'attività riferibile non al notificante, ma a soggetti diversi - l'ufficiale giudiziario e l'agente postale come ausiliario di questo -, e perciò del tutto estranea alla sfera di disponibilità del primo. Gli effetti della notificazione a mezzo posta devono, dunque, essere ricollegati, per quanto riguarda il notificante, al solo compimento delle attività a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell'atto da notificare all'ufficiale giudiziario; restando, naturalmente, fermo, per il destinatario, il principio del perfezionamento della notificazione solo alla data di ricezione dell'atto, attestata dall'avviso di ricevimento, con la conseguente decorrenza da quella stessa data di qualsiasi termine imposto al destinatario medesimo” (Corte Cost, 26 novembre 2002, n. 477, Rizzacasa c. Enel, in Giur. cost. 2002, f. 6).
15 “In tema di opposizione all'ordinanza ingiunzione applicativa di sanzione amministrativa, la disposizione di cui all'art. 23 comma 12 della l. 24 novembre 1981 n. 689, secondo cui il
“In tema di sanzioni amministrative, l'art. 23 comma 12 della l. 24 novembre 1981 n. 689, ai sensi del quale il pretore accoglie l'opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell'opponente, recepisce le regole civilistiche sull'onere della prova, spettando all'autorità che ha emesso l'ordinanza-ingiunzione di dimostrare gli elementi costitutivi della pretesa avanzata nei confronti dell'intimato e restando a carico di quest'ultimo la dimostrazione di eventuali fatti impeditivi od estintivi” (Corte Cass., Sezione I, 29 dicembre 1989, n. 5826, Pianigiani c. UPICA Siena, in Giust. civ. Mass. 1989, fasc. 12).
16 “Con l'opposizione all'ordinanza ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa viene introdotto un giudizio ordinario sul fondamento della pretesa dell'amministrazione, nel quale le vesti sostanziali di attore e convenuto vengono assunte, anche ai fini dell'onere della prova, rispettivamente dall'amministrazione e dall'opponente, restando l'assunzione delle prove d'ufficio, prevista dall'art. 23, comma 6, l. n. 689/1981, una facoltà e non un obbligo del giudice, il cui esercizio è affidato alla sua discrezionalità” (Giudice di Pace di Torino, 28 febbraio 2001, Berutto c. Prefettura Torino, in Gius 2001, 2663).
“Con l'opposizione alla ordinanza-ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa, viene introdotto un giudizio ordinario sul fondamento della pretesa dell'amministrazione, nel quale le vesti sostanziali di attore e convenuto vengono assunte, anche ai fini dell'onere della prova, rispettivamente dall'amministrazione e dall'opponente, restando l'assunzione di prove d'ufficio, prevista dall'art. 23, comma 6, della l. n. 689 del 1981, una facoltà, e non un obbligo del pretore, il cui esercizio è affidato alla sua discrezionalità. Ne consegue che, ove l'amministrazione non adempia l'onere di dimostrare compiutamente la esistenza di fatti costitutivi dell'illecito, secondo il disposto del citato art. 23, comma 12, l'opposizione deve essere accolta” (Corte Cass., Sezione I, 26 maggio 1999, n. 5095, Ministero del tesoro c. Soc. Udinese Calcio, in Giust. civ. Mass. 1999, 1167).
“Al procedimento di opposizione ad ordinanza - ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa pecuniaria risulta applicabile il principio generale della revocabilità delle ordinanze istruttorie, fissato dall'art. 177 c.p.c., e non derogato da alcuna delle disposizioni dell'art. 23 l. 24 novembre 1981 n. 689. Pertanto il pretore, qualora riscontri, sulla base delle conclusioni sottopostegli dalle parti, la necessità di un'ulteriore istruzione della causa, può, anche all'udienza fissata per la discussione, ammettere prove in precedenza non ammesse, implicitamente revocando l'ordinanza con la quale aveva fissato l'udienza di discussione, e riaprendo l'istruttoria” (Corte Cass., Sezione I, 22 gennaio 1998, n. 557, Lupacchina c. Comune di S. Benedetto del Tronto, in Riv. giur. polizia 1999, 199 solo massimata).
“Anche nel rito processuale in cui è consentita l'ammissione d'ufficio della prova testimoniale - art. 23 comma 6 della l. 24 novembre 1981 n. 689 - va rispettato il principio dell'unità della prova testimoniale posta dall'art. 244 c.p.c. È pertanto tardiva la prova suddetta chiesta dalle parti sugli stessi fatti oggetto della prova testimoniale disposta d'ufficio e già espletata” (Corte Cass., Sezione I, 12 novembre 1992, n. 12186, Società Engineering technical center c. Ministero interno e altro, in Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 11).
17 “Nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa possono essere assunti come testimoni i verbalizzanti, i quali non sono portatori di un interesse che ne legittimerebbe la partecipazione al giudizio” (Corte Cass., Sezione III, 21 aprile 2000, n. 5272, Stara c. Prefettura di Oristano, in Giust. civ. Mass. 2000, 873).
“Nel giudizio d'opposizione all'ordinanza che applica una sanzione amministrativa parti sono l'autorità amministrativa e le persone assoggettate alla sanzione. La persona che potrebbe sostenere d'aver subito un danno in conseguenza del comportamento della parte che ha proposto l'opposizione non è titolare di una situazione dipendente da quella dell'autorità cui compete applicare la sanzione, non ha un interesse giuridico a vedere accertato che l'opponente dev'essere assoggettato alla sanzione che gli è stata applicata e non ha perciò un interesse giuridico che potrebbe legittimare la sua partecipazione al giudizio. Consegue che nel giudizio d'opposizione avverso l'ordinanza che applica una sanzione amministrativa per violazione delle disposizioni del c. strad. può essere assunto come testimone il conducente dell'altro veicolo che potrebbe sostenere d'avere subito un danno per effetto della violazione non avendo un interesse giuridico a partecipare al giudizio la cui sentenza non fa stato se non tra le parti” (Corte Cass., Sezione III, 18 febbraio 2000, n. 1870, Maccione c. Prefettura di La Spezia, in Giust. civ. 2000, I, 1665).
“Con riferimento al verbale di accertamento di una violazione del codice della Strada, l'efficacia di piena prova fino a querela di falso, che ad esso deve riconoscersi - ex art. 2700 c.c., in dipendenza della sua natura di atto pubblico - oltre che quanto alla provenienza dell'atto ed alle dichiarazioni rese dalle parti, anche relativamente
“In tema di opposizione ad ordinanza irrogativa di sanzioni amministrative, il principio secondo il quale il verbale di accertamento fa fede fino a querela di falso circa l'attestazione dei fatti caduti sotto la diretta percezione del pubblico ufficiale senza margini di valutazione soggettiva (nella specie, transito di un veicolo in certo luogo in un giorno e ad un'ora determinati) comporta che tali fatti non possano legittimamente dirsi smentiti da un'eventuale prova testimoniale di segno contrario (nella specie, dichiarazione di un terzo secondo cui il proprietario del veicolo si trovava altrove ed il veicolo era custodito in luogo chiuso al momento della rilevazione dell'infrazione), dovendo, per converso, l'opponente ricorrere, pregiudizialmente, al procedimento di cui agli art. 221 ss. c.p.c. - querela di falso” (Corte Cass., Sezione I, 5 febbraio 1999, n. 1006, Prefettura di Cuneo c. Cavallo, in Arch. giur. circol. e sinistri 1999, 397).
18 “Anche nel giudizio speciale di opposizione a ordinanza - ingiunzione, il cui rito è disciplinato in modo analogo a quello del lavoro, il potere del giudice di disporre d'ufficio i mezzi di prova ritenuti necessari al di la dei limiti stabilità dal codice civile (salvo il giuramento decisorio) e di superare i limiti stabiliti dallo stesso codice, in generale, per la prova testimoniale, ha carattere meramente discrezionale e non è soggetto a sindacato in sede di legittimità anche quando manchi un'espressa motivazione sul punto, dovendosi ritenere che il giudice stesso abbia reputato in maniera implicita, la sufficienza degli elementi già acquisiti …omissis… Il giudizio speciale di opposizione a ordinanza ingiunzione si inserisce pur sempre nell'alveo del processo civile (cfr. Corte Cass., Sezioni Unite., 19 aprile 1990 n. 3271), con la conseguenza che, in relazione ai poteri istruttori di ufficio del giudice, i principi sono gli stessi che la giurisprudenza ha elaborato in relazione al rito del lavoro, rito che presenta una disciplina normativa analoga ed è anche direttamente applicabile a talune opposizioni a ordinanza ingiunzione. È sufficiente, quindi, il richiamo alla giurisprudenza della Corte che così si è espressa: con riguardo al rito del lavoro, sia l'art. 421 c.p.c. - che consente al giudice di primo grado di disporre d'ufficio qualsiasi mezzo istruttorio fuori dei limiti stabiliti dal codice civile (ad eccezione del giuramento decisorio) e di superare i limiti stabiliti dallo stesso codice in via generale per la prova testimoniale - sia l'art. 437 c.p.c. - che disciplina il potere del giudice di appello di disporre, sempre d'ufficio, i mezzi di prova che ritenga indispensabili - si riferiscono soltanto all'esercizio, meramente discrezionale, della facoltà di scelta del mezzo probatorio più adatto alla verifica delle tesi di parte, cosicché il mancato esercizio di tali poteri istruttori, conferiti al giudice di merito, non è soggetto a sindacato in sede di legittimità, anche quando manchi un'espressa motivazione sul punto, dovendosi ritenere che il giudice stesso abbia reputato, in maniera implicita, la sufficienza degli elementi probatori già acquisiti” (Corte Cass., Sezione Lavoro, 11 aprile 1996, n. 3367, Rubini c. Ispettettorato Provinciale del Lavoro di Macerata, in Giust. civ. Mass. 1996, 542).
In senso sostanzialmente conforme: Corte Cass., 30 maggio 1989, n. 2588; Corte Cass., 25 marzo 1987, n. 2920; Corte Cass., 10 marzo 1986, n. 1616; Corte Cass., 15 aprile 1994, n. 3549; Corte Cass., 27 luglio 1994, n. 6903.
19 “In tema di regolamento delle spese processuali, il potere del giudice di compensare le spese processuali per giusti motivi senza obbligo di specificarli non è in contrasto con il principio dettato dall'art. 24, comma 1, cost., giacché il provvedimento di compensazione non costituisce ostacolo alla difesa dei propri diritti, non potendosi estendere la garanzia costituzionale dell'effettività della tutela giurisdizionale sino a comprendervi anche la condanna del soccombente. Ne consegue che, nel caso in cui il giudice motivi in ordine alla compensazione, detto provvedimento esula dal sindacato di legittimità, salva la possibilità di censurarne la motivazione basata su ragioni illogiche o contraddittorie” (Corte Cass., Sezione I, 17 marzo 2003, n. 5405, Corinaldesi c. Comune di Roma, in Giust. civ. Mass. 2004, f. 3).
20 “Non può essere dichiarata cessata la materia del contendere in ordine all'impugnativa del venditore di un esercizio commerciale per il solo fatto che l'acquirente, in sede di accertamento con adesione, abbia accettato la valutazione dell'ufficio. È censurabile la condotta di un ufficio che, per la valutazione di tale esercizio si discosti dall'art. 2 comma 4 d.P.R. n. 460/96, utilizzando criteri arbitrari e non conformi all'economia aziendale, e successivamente rifiuti sia di procedere all'annullamento in autotutela sia di aderire all'accertamento con adesione. In tali casi, ravvisandosi una condotta negligente nella formazione dell'atto impugnato ed una colpa grave nella condotta successiva, fatti entrambi che indubbiamente hanno causato danni e dispendio di energie alla parte ricorrente, sussistono i presupposti, non solo per l'annullamento dell'atto impositivo, ma altresì per la condanna dell'Amministrazione al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c.” (Commissione Tributrario Provinciale Milano, Sezione XXXVI, 28 marzo 2003, n. 31, Soc. V.F. e C. c. Agenzia delle entrate di Milano, in Bollettino trib. 2003, 953).
21 “Quando con ordinanza - ingiunzione sia stata irrogata una sanzione amministrativa, e tale sanzione sia stata ridotta a seguito di opposizione, ai fini del riparto delle spese processuali l'Amministrazione non può ritenersi soccombente, così come non è configurabile soccombenza, neppure parziale, nell'ipotesi di riduzione, anche sensibile, della somma richiesta con la domanda giudiziale” (Corte Cass., Sezione Lavoro, 21 aprile 2004, n. 7638, Direzione Provinciale del Lavoro di Roma c. Immobiliare Medio Tevere, in Giust. civ. Mass. 2004, f. 4).
22 “In materia di sanzioni amministrative, relative alla violazione di norme sulla circolazione stradale, in caso di opposizione all'autorità giudiziaria, di cui all'art. 205 c.d.s., si applica la regola generale sulla competenza territoriale del foro della commessa violazione, come stabilita dall'art. 22 L. 689/1981. Pertanto l'opposizione al pretore, anche alla sola sospensione della patente di guida da parte del Prefetto, quale pena accessoria della violazione dell'art. 142 c. 9 c.d.s., resta comunque nella competenza territoriale del Pretore del luogo della commessa violazione, qualunque sia l'autorità amministrativa che successivamente applica la pena c.d. principale relativa alla violazione” (Pretura Torino, 3 novembre 1993, Lojacono c. Prefettura di Torino, in Riv. giur. circol. trasp. 1994, 231).
23 Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, circolare n. 41 dell’8/11/2002 (fruibile su http://www.prefettura.cagliari.it/news/Circolare%2041.pdf).
24 “In tema di opposizione a sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, l'errata indicazione da parte dell'amministrazione del termine per proporre ricorso all'autorità giudiziaria preclude che sia dichiarata inammissibile l'opposizione proposta dopo la scadenza del termine di 30 gg. fissato dall'art. 205 d.lg. 30 aprile 1992 n. 285” (Giudice di Pace Catanzaro, 21 novembre 2002, Gregorace c. Prefettura di Catanzaro, in Foro it. 2003, I, 979).
25 Ad onore del vero, comunque, gli unici casi in cui il giudizio in esame può rientrare nella competenza del Tribunale sono quelli di cui all’art. 22 c. 3 lett. a) (pena pecuniaria superiore nel massimo edittare ad € 15.493,71, come nel caso di cui all’art. 23 c. 13-bis c.d.s.) e b) L. 689/1981 (applicazione di una sanzione pecuniaria superiore ad € 15.493,71 in conseguenza della violazione di una disposizione punita con una sanzione proporzionale senza previsione del massimo, come nel caso di cui al combinato disposto dell’art. 34 c. 5 in combinato con il disposto dell’art. 1 c. 3 e 4 L. 27/78).
26 Corte Cass., Sezione II, 25 febbraio 2004, n. 3735, L.M. c. U.T.G. di Bergamo.
27 “La legittimazione all'opposizione all'ordinanza ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa non deriva dall'interesse di fatto che il soggetto può avere alla rimozione del provvedimento, ma dall'interesse giuridico che egli abbia a tale rimozione. Ne consegue che il vincolo di solidarietà che esiste, a norma dell'art. 6 della legge n. 689 del 1981, tra l'autore di essa ed il proprietario del mezzo, non comporta che l'autore della violazione sia legittimato ad impugnare l'ingiunzione di pagamento della sanzione pecuniaria, qualora egli non ne sia destinatario, stante l'autonomia delle posizioni dei soggetti obbligati in solido, nei confronti dei quali sussiste l'obbligo di un'autonoma, tempestiva contestazione, in mancanza della quale la sua obbligazione nei confronti dell'Amministrazione si estingue (art. 14, ultimo comma, della legge n. 689 del 1981) e tenuto conto da un lato della insussistenza di un litisconsorzio necessario tra obbligati solidali e, dall'altro, che egli può contestare nei confronti del proprietario che lo convenga in via di regresso, ai sensi dell'art. 6 della legge n. 689 del 1981, la sussistenza della violazione” (Corte Cass., Sezione I, 30 giugno 1997, n. 5833, Dell'Igna c. Prefettra di Verona, in Giust. civ. Mass. 1997, 1087).
28 “In tema di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, nel caso in cui venga proposta opposizione avverso il verbale di contestazione della violazione, la legittimazione passiva spetta, alternativamente, alle amministrazioni centrali cui appartengono i vari corpi di polizia abilitati alla contestazione, con la conseguenza che, ove il processo verbale sia stato elevato dalla Polizia stradale, legittimato passivo a resistere all'opposizione (e legittimato a ricorrere o a resistere nell'eventuale successivo giudizio di cassazione) è il Ministro dell'interno e non il prefetto” (Corte Cass., Sezione I, 1 aprile 2004, n. 6364, Regalia c. Prefettura di Milano, in Giust. civ. Mass. 2004, f. 4).
29 “In tema di opposizione a ordinanza ingiunzione, quando il giudice, per espressa previsione di legge (quale l'art. 211, comma 7, c.d.s.), può conoscere della legittimità delle sanzioni accessorie che conseguono di diritto alla violazione, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario non solo quando l'opposizione investa un'ordinanza - ingiunzione che applica congiuntamente la sanzione pecuniaria e quella accessoria, ma anche nel caso in cui riguardi la sola sanzione accessoria, costituente unico oggetto dell'ordinanza ingiunzione per effetto dell'avvenuto pagamento della sanzione pecuniaria in misura ridotta” (Corte Cass., Sezioni Unite, 25 maggio 2001, n. 223, Soc. 3GL c. Pref. Cremona, in Giust. civ. Mass. 2001, 909).
“Con riguardo ad infrazione al codice della strada, comportante l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria e di una sanzione accessoria, consistente nella sospensione della validità della patente, la controversia, con la quale il contravventore, che abbia pagato spontaneamente la prima (valendosi del versamento im misura ridotta), si opponga all'applicazione della seconda e chieda, contestualmente, il rimborso della somma pagata, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario (pretore), atteso che con quest'ultima istanza, la parte privata fa valere il proprio diritto soggettivo a non essere sottoposta a prestazioni pecuniarie se non nei casi previsti dalla legge, attenendo al merito la questione se tale domanda possa proporsi nella forma dell'opposizione di cui alla l. n. 689 del 1981, e che tale rimedio è esperibile avverso il provvedimento irrogativo della sanzione accessoria, in forza dell'art. 117 d.lg. n. 360 del 1993 - integrante l'art. 218 del codice della strada con un comma 5, secondo cui avverso il provvedimento di sospensione della patente è ammessa opposizione ai sensi dell'art. 205 dello stesso codice - che ha espressamente attribuito al pretore la cognizione dell'indicata opposizione e che per il principio della perpetuatio iurisdictionis (che continua a sussistere in base al testo dell' art. 5 c.p.c. risultante dalla novella di cui alla l. n. 353 del 1990) si applica anche ai giudizi di opposizione promossi prima dell'entrata in vigore del richiamato decreto legislativo, trattandosi di norma attributiva della giurisdizione sopravvenuta in corso di causa” (Corte Cass., Sezioni Unite, n. 6231, Riva c. Prefettura di Torino, in Arch. giur. circol. e sinistri 1996, 795).
30 “In caso di impugnazione del provvedimento prefettizio di revoca della patente, emesso ai sensi dell'art. 120 del codice della strada nei confronti della persona condannata a pena detentiva non inferiore a tre anni allorché l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura, la competenza giurisdizionale spetta al giudice amministrativo, atteso che detto provvedimento, caducando, con effetto ex nunc, la precedente autorizzazione a condurre veicoli in considerazione dell'accertato venir meno dei relativi requisiti, è idoneo a degradare ad interesse legittimo la posizione soggettiva dell'interessato, e la relativa tutela è diretta all'annullamento dell'atto amministrativo, preclusa al giudice ordinario al di fuori dei casi in cui la legge considera la revoca della patente come sanzione accessoria di illeciti amministrativi o penali connessi a violazioni del codice della strada. Il provvedimento, infatti, non accede ad illeciti amministrativi e penali previsti dal codice stradale, e la relativa tutela è diretta all'annullamento - ed in tal senso ha infatti provveduto, in accoglimento della domanda, la sentenza ora gravata - di un atto amministrativo: dal che non può non derivare la giurisdizione del giudice amministrativo, essendo inibito al giudice ordinario annullare atti siffatti fuori dei casi in cui la legge consideri la revoca della patente quale sanzione accessoria di illeciti amministrativi o penali, e salvo il potere di disapplicazione in via incidentale (che nella specie non viene in considerazione) di atti amministrativi illegittimi ai sensi dell'art. 5 legge 2 marzo 1865 n. 2248 allegato E. È vero che l'art. 219 del codice stradale - modificato dall'art. 118 d.lgs. n. 360 del 1993 e poi del citato d.p.r. n. 575-94, sebbene ricompreso nella sezione II (delle sanzioni amministrative accessorie a sanzioni amministrative pecuniarie) del capo I titolo VI, si riferisce ad ogni ipotesi di revoca della patente diversa da quella contemplata dal successivo art. 222 terzo comma (e prevede tra l'altro il ricorso gerarchico al ministro dei trasporti, invece dell'analogo ricorso al ministro dell'interno di cui all'art. 120 terzo comma), e, tuttavia, la impropria sedes materiae non appare argomento sufficiente per ritenere che il legislatore abbia inteso derogare ai principi generali né tanto meno che abbia inteso attribuire alla revoca della patente ai sensi dell'art. 120 c. 1, che qui interessa, ed agli effetti in esame, una natura di sanzione accessoria che essa ontologicamente non presenta. Per detta revoca vengono infatti in considerazione la natura del provvedimento - che caduca, con effetto ex nunc, la precedente autorizzazione a condurre veicoli in considerazione dell'accertato venir meno dei relativi requisiti, e degrada pertanto ad interesse legittimo la posizione soggettiva dell'interessato - e la estraneità dì esso alle ipotesi di illeciti amministrativi e penali, contemplate dallo stesso codice, con la conseguenza che la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo, come questa Corte Suprema (Corte Cass, Sezioni Unite, nn. 1914/1992) ha affermato con riferimento, ancorché al codice della strada del 1959, alla citata legge n. 689 del 1981” (Corte Cass., Sezioni Unite, 29 aprile 2003, n. 6630, Prefettura di Foggia c. D., in Giust. civ. 2004, I, 445).
31 “Il principio secondo il quale la confisca amministrativa non può essere legittimamente disposta nei confronti di soggetti diversi dall'effettivo proprietario del bene non si applica nell'ipotesi di confisca di autoveicolo non immatricolato in Italia, del quale il proprietario non abbia fornito la prova della circolazione contro la sua volontà o quantomeno a sua insaputa, e mancante di copertura assicurativa, sussistendo, in tal caso, una situazione di oggettiva pericolosità del veicolo stesso” (Corte Cass., Sezione III, 18 maggio 2000, n. 645, Generoso e altro c. Prefettura di Agrigento, in Giust. civ. Mass. 2000, 1051).
32 “In tema di sanzioni amministrative accessorie, il proprietario del veicolo che sia stato posto in circolazione da altri prima del rilascio della relativa carta di circolazione (o prima dell'immatricolazione, in relazione alla sentenza n. 371/1994 della Corte cost. dichiarativa dell'illegittimità costituzionale dell'art. 21 c. 3. L. 689/1981 e, dunque, per implicito, dell'art. 93 c. 7 c.d.s.), in tanto potrà avvalersi, per evitare la confisca amministrativa del mezzo che sia stato successivamente immatricolato, della disposizione di cui all'art. 213, comma 6, c.d.s., la quale presuppone la sua estraneità alla violazione, in quanto non sia responsabile dell'autonoma violazione di cui all'art. 93 c. 7, secondo inciso, c.d.s., consistente nel non avere impedito, per dolo o per colpa, la circolazione. Quella del proprietario, infatti, non è un'obbligazione solidale (ai sensi dell'art. 196 c. 1 c.d.s.) ma un'obbligazione autonoma, collegata all'attività omissiva consistita nel non avere impedito il fatto, la quale realizza una distinta violazione, di cui il proprietario del veicolo (o l'usufruttuario o il locatario con facoltà di acquisto, o l'acquirente con patto di riservato dominio) risponde tutte le volte che la sua omissione cosciente e volontaria sia connotata da dolo o colpa, giusta il principio generale posto dall'art. 3 c. 1 L. 689/1981” (Corte Cass., Sezione III, 19 luglio 2000, n. 9493, Pace c. Prefettura di Potenza, in Giust. civ. Mass. 2000, 1573).
33 Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, circolare prot. n. 300/4/1/31772/101/20/21/4 del 10 maggio 2004.
34 Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, circolare prot. n. 300/4/1/31772/101/20/21/4 del 10 maggio 2004.
35 La modifica apportata all’art. 213 c.d.s. dall’art. 38 c. 1 lett. a) D.L. 269/2003, c.c.m. in L. 326/2003, ha di fatto generalizzato la possibilità per il proprietario del veicolo di esserne nominato custore, in precedenza limitata, ex art. 193 c.d.s. (nel testo come modificato ad opera dell’art 3 c. 19 lett. b) D.L. 151/2003, c.c.m. in L. 214/2003, al caso del sequestro di veicolo privo di copertura assicurativa (vedi la circolare del Ministero dell’Interno – Dipartimento Centrale per la Polizia Stadale, Ferroviaria, Postale, di Frontiera e dell’Immograzione – n. 300/A/1/44249/101/3/3/8 del 12 agosto 2003).
Peraltro, anche dopo la novella il sequestro disposto ex art. 193 c.d.s. continua a rappresentare una fattispeice particolare governata da regole parzialmente differenti rispetto a quello disposto ex art. 213 c.d.s..
36 Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, circolare prot. n. 300/4/1/31772/101/20/21/4 del 10 maggio 2004.
37 Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, circolare prot. n. 300/4/1/31772/101/20/21/4 del 10 maggio 2004.
38 Peraltro, qualora risulti impossibile, per comprovate esigenze, procedere alla notifica del verbale di sequestro integrato dell’avviso di cui sopra, è previsto che la notifica si abbia comunque per eseguita decorsi 20 giorni dall’affissione dell’atto all’albo pretorio del Comune in cui si trova la depositeria autorizzata.
39 Ricorrendo tale ipotesi, la disciplina applicabile non sarà più solo quella di cui all’art. 214 c.d.s., in quanto questa dovrà essere integrata con le puntuali disposizioni di cui all’art. 217 c.d.s..
40 “Il fermo amministrativo dei beni mobili registrati previsto dall'art. 86 d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dall'art. 16 d.lg. n. 46 del 1999 ed ulteriormente modificato dal d.lg. n. 193 del 2001, non è consentito per bloccare i beni mobili registrati del debitore per crediti riscossi mediante ruolo ma non aventi natura tributaria” (Tribunale Novara, 12 maggio 2003, Soc. A.D. c. Inps e altro, in GT Riv. giur. trib. 2003, 965 nota di Damascelli).
41 “È illegittimo il fermo amministrativo dei veicoli a motore previsto dall'art. 86 d.P.R. n. 602 del 1973 così come modificato dall'art. 16 d.lg. n. 46 del 1999 ed ulteriormente modificato dal d.lg. n. 193 del 2001, disposto dal concessionario della riscossione, senza che ad esso non segua un pignoramento” (Tribunale Novara, 9 maggio 2003, Soc. Didino autocorriere c. Società Sestri e altro, in Arch. giur. circol. e sinistri 2003, 710).
42 Sulla competenteza a conoscere delle controversie conseguenti al fermo amministrativo “tributario” di un veicolo, esistono tre distinte correnti giurisprudenziali.
La prima, maggioritaria, riconosce la giurisdizione della A.G.O. sulla considerazione, soprattutto, del fatto che, in sede di esecuzione dell’obbligazione tributaria, il concessionario per la riscossione non opera con poteri di sopremazia pubblicistica ma con i poteri del privato creditore (anche se applicando un plesso normativo caratterizzato da plurime deviazioni rispetto al modello standard).
“Il fermo dell'autoveicolo disposto ai sensi dell'art. 86 d.P.R. n. 602 del 1973 si colloca nell'ambito degli atti della procedura di esecuzione forzata tributaria che, siccome attinenti a posizioni di diritto soggettivo, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario” (T.A.R. Sardegna, 13 aprile 2004, n. 483, E.C. c. Soc. Bipiesse riscossioni, in Redazione Giuffrè 2004 solo massimata)
“La controversia relativa alla legittimità del fermo di un bene mobile registrato (nella specie, un'autovettura) disposto ai sensi dell'art. 86 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, come innovato dal d.l. 27 aprile 2001 n. 193 spetta alla cognizione del giudice ordinario, in funzione di giudice dell'esecuzione mobiliare. Tale atto, infatti, si colloca in una speciale procedura di espropriazione in cui è assente alcuna immediata e oggettiva connotazione pubblicistica, in quanto il concessionario non provvede con esso alla diretta gestione di interessi pubblici, ma solo a determinare le condizioni che rendono più sicura ed agevole la realizzazione del credito principale, avente contenuto pecuniario, della cui riscossione è incaricato, sulla scorta di valutazioni non diverse da quelle compiute da qualunque privato creditore al quale siano rimessi analoghi poteri di autotutela” (T.A.R. Calabria Catanzaro, Sezione I, 24 marzo 2004, n. 699, D.C. c. Soc. E.T.R., in Foro amm. TAR 2004, 834 solo massimata).
“Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda di accertamento all'illiceità del comportamento posto in essere da società concessionaria per la riscossione di sanzioni amministrative attraverso l'adozione del provvedimento di fermo di veicolo, di cui all'art. 86 d.P.R. n. 602 del 1973, avendo ad oggetto un'attività materiale lesiva di diritti soggettivi” (Giudice di Pace di Davoli, 20 agosto 2003, C. c. Soc. E.TR., in Arch. giur. circol. e sinistri 2003, 1097).
“Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sull'opposizione avverso il fermo amministrativo di veicoli a motore ex art. 86 d.P.R. n. 602 del 1973, trattandosi di sanzione amministrativa impugnabile ex l. n. 689 del 1981. Il giudice di pace è pertanto competente a decidere su tali opposizioni ai sensi dell'art. 22 bis l. n. 689 del 1981” (Giudice di Pace di Bari, 24 luglio 2003, Iule c. Soc. Sesit Puglia, in Arch. giur. circol. e sinistri 2004, 307).
Una seconda tesi giurisprudenziale, sicuramente minoritaria, riconosce anche in sede di esecuzione coatta, al concessionario per la riscossione, una posizione di supremazia pubblicistica e pertanto conclude per la degradazione a mero interesse legittimo della posizione del privato cittadino colpito dal provvedimento di fermo ex art. 86 d.P.R. 602/1973.
“Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine all'impugnazione del provvedimento di fermo disposto ai sensi dell'art. 86 comma 1, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 come mod. dall'art. 1 comma 2 lett. q), d.lg. 27 aprile 2001 n. 193, emanato in base alla l. delega 28 settembre 1998 n. 337, in quanto atto autoritativo riconducibile all'attività di un concessionario di pubblico servizio (della riscossione) che non dà luogo ad un rapporto individuale di utenza" (T.A.R. Puglia Bari, Sezione I, 7 gennaio 2004, n. 3, Soc. M. c. Soc. Puglia e altro, in Foro amm. TAR 2004, 212 solo massimata)
“Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sul ricorso per l'annullamento del provvedimento di fermo degli autoveicoli, atteso che l'art. 86 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, come modificato dall'art. 1, comma 1 lett. q) d.lg. n. 193/2001, riconosce al concessionario una mera facoltà di disporre il fermo stesso” (T.A.R. Puglia Bari, Sezione I, 18 aprile 2003, n. 1764, Az. agr. Badessa c. Soc. Sesit Puglia, in Il Fisco 2003, 2999).
La terza tesi giurisprudenziale, invece, sul presupposto che il fermo costituisce fase della realizzazione della pretesa tributaria, riconduce le relative controversie alla giurisdizione del giudice tributario (ovviamente, per i tributi che rientrano nella sua sfera di giurisdizione.
“La competenza a decidere sulle cause aventi ad oggetto il fermo amministrativo dell'autoveicolo del contribuente inadempiente spetta al giudice tributario. Infatti, le questioni di qualsiasi genere, che attengono al fermo operato ex art. 86 d.P.R. n. 602 del 1973, non si sottraggono alla regola generale del giudice tributario in materia di tributi, il quale, ai sensi dell'art. 7, comma 5, d.lg. n. 546 del 1992, può eventualmente anche non applicare l'atto amministrativo senza che lo stesso sia preventivamente valutato dal giudice amministrativo” (Tribunale Cosenza, 28 maggio 2003, in Dir. e prat. trib. 2004, II, 439 in nota di Gastaldo).
“La competenza a decidere sulle cause aventi ad oggetto il fermo amministrativo dell'autoveicolo del contribuente inadempiente spetta al giudice tributario. Infatti, le questioni, di qualsiasi genere, che attengono al fermo operato ex art. 86 d.P R. n. 602 del 1973 non si sottraggono alla regola della competenza generale del giudice tributario in materia di tributi, il quale, ai sensi dell'art. 7, comma 5, d.lg. n. 546 del 1992, può eventualmente anche non applicare l'atto amministrativo senza che lo stesso sia preventivamente valutato dal giudice amministrativo” (C.T.P. di Cosenza, Sezione I, 28 maggio 2003, n. 397, in GT Riv. giur. trib. 2003, 962 nota di Damascelli).
43 “L'art. 86 d.P.R. 602/73, nella parte in cui prevede la facoltà della p.a. di disporre il fermo amministrativo del veicolo a garanzia del pagamento di crediti dell'erario, è norma non applicabile, in quanto non sono mai stati i regolamenti attuativi previsti dal comma 4 della norma stessa” (Tribunale Caltanissetta, 12 febbraio 2004, Tombè, in D&G - Dir. e Giust. 2004, f. 13, 57 nota di Proietti).
44 Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, circolare prot. n. 300/4/1/31772/101/20/21/4 del 10 maggio 2004.
45 Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, circolare prot. n. 300/4/1/31772/101/20/21/4 del 10 maggio 2004.
46 Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, circolare prot. n. 300/4/1/31772/101/20/21/4 del 10 maggio 2004.
47 “La disciplina della rimozione dei veicoli in sosta vietata (la quale ultima costituisce sanzione accessoria alle sanzioni amministrative previste per la violazione dei comportamenti di cui al comma 1 dell'art. 159 c.d.s.), comporta che la stessa venga disposta dagli organi di polizia cui spetta l'espletamento del relativo servizio, che gli enti proprietari della strada possono affidare a terzi stabilendone le modalità (con riferimento alla durata dell'affidamento, ai requisiti che il terzo affidatario deve possedere, le caratteristiche dei mezzi con i quali deve essere assolto il servizio, la determinazione delle tariffe secondo un disciplinare unico). Detto affidamento, realizza una ipotesi tipica di concessione di pubblico servizio, e la convenzione tra la p.a. ed il concessionario non può essere valutata alla stregua di un accordo di natura privatistica, nel quale le spese della rimozione del veicolo e di custodia del mezzo possano essere considerate il corrispettivo di un contratto misto di trasporto e di deposito nell'interesse della p.a., ricomprendendo, invece, la concessione del servizio anche il diritto del concessionario alla percezione, da parte dei soggetti destinatari della sanzione amministrativa, del corrispettivo, la cui entità è stata stabilita unilateralmente dalla p.a. concedente mediante approvazione delle relative tariffe” (Corte Cass., Sezione III, 26 luglio 2002, n. 11065, Sardo c. Aci Roma, in Giust. civ. Mass. 2002, 1366).
48 “Il pubblico ufficiale preposto alla rimozione del veicolo in sosta d'intralcio è tenuto, nel redigere il verbale di rimozione, a dare la descrizione più dettagliata possibile del veicolo rimosso, al fine di evidenziarne lo stato di conservazione; in difetto di tale descrizione, il cittadino non può essere costretto a dare la demonstratio diabolica della non sussistenza dei danni lamentati, in epoca antecedente all'asporto coattivo, al fine di ottenerne il riconoscimento ed il risarcimento in sede giudiziale; la mancata descrizione dello stato del veicolo, ovvero la sua lacunosità od inidoneità comporta quindi l'inversione dell'onere della prova, che viene posta a carico dell'ente pubblico procedente e della ditta concessionaria ed appaltatrice del servizio di rimozione” (Giudice conciliatore Roma, 4 febbraio 1988, Aicardi c. Cooperativa Cestia e altro, in Temi romana 1988, 185).
49 Buona parte dei regolamenti adottati dagli enti proprietari delle strade consentono di corrispondere le somme dovute al concessionario del servizio di rimozione entro un determinato termine, proprio sul presupposto che, ben difficilmente, l’interessato può disporre “sull’unghia” di tali cifre.
50 Normalmente, è interessato sono l’intestatario del documento di circolazione; nei casi in cui, per il non ancora intervenuto aggiornamento della carta di circolazione, questi differisca dal proprietario, quest’ultimo – dando dimostrazione del proprio diritto (ad esempio producendo copia autenticata del contratto di compravendita) – deve sicuramente considerasi legittimato a richiedere ed ottenere la restituzione del veicolo (cfr. art. 215 c. 4 c.d.s.).
E’ peraltro possibile, anche se statisticamente non molto frequente, che il veicolo sia ipotecato. In tale caso, il creditore ipotecario, al fine di non vedere vanificata la propria garanzia (specie in considerazione della previsione di cui all’art. 215 c. 4 c.d.s. e della facoltà, decorsi 180 giorni dalla notifica del verbale, di procedere all’alienazione o alla demolizione del veicolo rimosso) può essere considerato legittimato a richiederne la restituzione o, non essendo né proprietario né intestatario della carta di circolazione, non può essere considerato tale?
Nel silenzio della norma ritengo che il creditore ipotecario possa richiedere, in via di surrogazione ex art. 2900 c.c., la restituzione del veicolo, ovviamente provvedendo in prima persona al pagamento delle spese conseguenti alla rimozione: la disposizione codicistica, infatti, è chiara nell’escludere la possibilità di surrogazione nei soli casi in cui i diritti e le azioni siano tali che “per loro natura o per disposizione di legge non possono essere esercitati se non dal loro titolare”. L’art. 215 c. 2 c.d.s. dispone che la restituzione debba essere disposta a favore dell’”avente diritto”, non operando alcuna ulteriore qualificazione atta a delimitare tale concetto restringendolo al solo proprietario.
Si potrebbe a tal proposito obiettare come un’interpretazione sistematica che coinvolga anche l’art. 215 c. 4 c.d.s., laddove viene fatto espresso riferimento solo al “proprietario o intestatario del documento di circolazione”, porti a soluzione diametralmente opposta, ma ritengo tale eccezione priva di fondamento giuridico proprio alla luce della facoltà concessa al creditore ipotecario di surrogarsi nella posizione del debitore.
51 Ora, se sui danni palesi la dichiarazione è possibile, non vedo che senso abbia chiedere al proprietario di dichiarare l’assenza di danni occulti. In ogni caso, per ottenere la restituzione è sufficiente rilasciare la dichiarazione liberatoria riservandosi comunque la facoltà di disporre un accertamento tecnico sulla funzionalità del veicolo: di tal maniera, il proprietario non viene a perdere l’azione di risarcimento allorché vengano scoperti danni non rilevabili ictu oculi.
“Anche al cittadino che lascia la propria autovettura in sosta in una zona dove è prevista la rimozione del veicolo spetta l'azione di risarcimento ai sensi dell'art. 2043 c.c., qualora il proprio veicolo abbia subito danni in conseguenza della rimozione ad opera del comune, anche a mezzo di ditta concessionaria” (Giudice conciliatore Roma, 4 febbraio 1988, Aicardi c. Cooperativa Cestia e altro, in Temi romana 1988, 185).
52 “L'art. 216 del c.d.s., in combinato disposto con l'art. 399 del regolamento di esecuzione, non prevede che sul verbale di contravvenzione per ritiro dei documenti di circolazione debba essere indicato un termine per adempiere alla facoltà di condurre il veicolo, usando la via più breve, nel luogo di custodia. Si ritiene, pertanto, che il contravventore debba adempiervi immediatamente” (Corte Cass., Sezione IV, 24 marzo 1999, n. 996, Lisciotto e altro, in Studium Juris 1999, 1145).
“L'agente accertatore, il quale procede al ritiro della carta di circolazione, non è tenuto ad indicare sul verbale di contravvenzione il termine entro il quale il contravventore è tenuto a condurre il veicolo nel luogo di custodia, giacché l'art. 339 reg. es., cui fa rinvio l'art. 216 c.strad., consentendo la circolazione limitatamente al periodo di tempo a ciò necessario usando la via più breve, impone al contravventore di raggiungere immediatamente il luogo dove custodire il veicolo” (Cass. Penale, Sezione IV, 24 marzo 1999, n. 5685, Gaglio, in Cass. pen. 2001, 1002 solo massimata).
53 “In tema di guida senza il documento di circolazione, i comportamenti considerati rispettivamente dagli art. 216 e 217 cod. strad. sono diversi tra loro, avendo il primo quale presupposto il mero ritiro del documento laddove nel secondo caso al ritiro si aggiunge un formale provvedimento di sospensione per un periodo determinato; in relazione a tale differenza si giustifica il differente trattamento sanzionatorio che solo nel secondo caso prevede la sospensione della patente di guida” (Corte Cass., Sezione IV, 11 ottobre 1999, n. 3067, Sistu, in Ced Cassazione 2000).
54 Dies a quo per la decorrenza di tale termine è, ovviamente, il momento in cui il competente ufficio del Dipartimento per i Trasporti Terrestri riceve l’originale del documento ritirato nonché copia del verbale di accertamento da parte dell’agente di polizia.
55 “È manifestamente inammissibile la q.l.c., sollevata in riferimento all'art. 76 cost., dell'art. 120 c. 2 c.d.s., nella parte in cui prevede la revoca della patente alle persone condannate a pena detentiva non inferiore a tre anni, quando l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura, in quanto, con sentenza n. 239 del 2003, è già stata dichiarata l'illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, della disposizione censurata, nella parte in cui, in combinato disposto con l'art. 130 c. 1 lett. b) c.d.s., prevedeva la revoca della patente nei confronti delle persone condannate a pena detentiva non inferiore a tre anni, quando l'utilizzazione del documento di guida potesse agevolare la commissione di reati della stessa natura e non residuano valutazioni da svolgere da parte del giudice rimettente, ai fini di una nuova prospettazione della q.l.c.” (Corte Cost., 16 gennaio 2004, n. 19, Natali c. Prefettura di Bergamo, in Giur. cost. 2004, f. 1).
“Sono costituzionalmente illegittimi gli art. 120 c. 2 e 130 c. 1 lett. b) c.d.s., nella parte in cui prevedono la revoca della patente di guida nei confronti delle persone condannate a pena detentiva non inferiore a tre anni, quando l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura. Indipendentemente dalle ragioni che hanno determinato la scelta del legislatore delegato, detta previsione costituisce - nell'ambito di una delega destinata, in generale, alla "revisione" ed al "riordino" della disciplina del codice della strada previgente e prefigurata, in particolare, in materia di revoca della patente, in termini di mero
56 “In caso di impugnazione del provvedimento prefettizio di revoca della patente, emesso ai sensi dell'art. 120 c.d.s. nei confronti della persona condannata a pena detentiva non inferiore a tre anni allorché l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura, la competenza giurisdizionale spetta al giudice amministrativo, atteso che detto provvedimento, caducando, con effetto ex nunc, la precedente autorizzazione a condurre veicoli in considerazione dell'accertato venir meno dei relativi requisiti, è idoneo a degradare ad interesse legittimo la posizione soggettiva dell'interessato, e la relativa tutela è diretta all'annullamento dell'atto amministrativo, preclusa al giudice ordinario al di fuori dei casi in cui la legge considera la revoca della patente come sanzione accessoria di illeciti amministrativi o penali connessi a violazioni del codice della strada” (Corte Cass., Sezioni Unite, 29 aprile 2003, n. 6630, Prefettura di Foggia c. D., in Giust. civ. 2004, I, 445).
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